Cangrande della Scala

Cangrande della Scala, terzo figlio di Alboino I della Scala, nacque nel 1291. Morti prematuramente il padre e il fratello maggiore Bartolomeo, fu associato già nel 1308 al governo di Verona dall’altro fratello, Alboino, insieme al quale ricevette nel 1311 la nomina di vicario imperiale, confermatagli poi nel 1312, quando, morto Alboino, rimase unico signore di Verona. Con lui la signoria dei Della Scala visse il periodo di maggiore fulgore, non solo estendendo il proprio controllo in gran parte del Veneto e fino a Brescia, Lucca e Parma, ma anche promuovendo un’illuminata politica culturale, di cui resta precoce testimonianza nel Bisbidis del poeta ebreo Manuello Romano e che rese Verona uno dei maggiori centri intellettuali d’Italia. Divenuto, dopo la morte di Arrigo VII, il capo del ghibellinismo italiano, tentò di realizzare quel progetto di unificazione dell’Italia sotto l’aquila imperiale che era già stato di Federico II, ma la sua iniziativa fu interrotta dalla morte prematura, avvenuta nel luglio del 1329, subito dopo aver conquistato Treviso.

La fama di Cangrande è però anche certamente legata alla sua generosa amicizia con Dante, che si tradusse nei tangibili benefici offerti all’esule durante il suo secondo soggiorno veronese dal 1313 al 1318. Il poeta fiorentino ricambiò il rispetto e la stima non solo dedicandogli con l’Epistola XIII l’ultima cantica della Commedia, ma tracciando di lui in Par., XVII un lusinghiero, ampio ritratto, quasi una profezia ante eventum, che attribuisce a Cangrande connotati messianici ed escatologici, che ne hanno favorito presso alcuni critici l’identificazione con il misterioso Veltro di Inf. I, o con l’enigmatico “cinquecento e diece e cinque, / messo di Dio” di Purg. XXXIII.