HO DATO POESIA AGLI UOMINI CESARE PAVESE 1908 - 1950 - L'infanzia e la campagna

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"HO DATO POESIA AGLI UOMINI" CESARE PAVESE 1908 - 1950

L'infanzia e la campagna
L'infanzia e la campagna

La casa natale a Santo Stefano Belbo

La casa natale a Santo Stefano Belbo



ANTENATI

Ho trovato una terra trovando i compagni,
una terra cattiva, dov’è un privilegio
non far nulla, pensando al futuro.
Perché il solo lavoro non basta a me e ai miei,
noi sappiamo schiantarci, ma il sogno più grande
dei miei padri fu sempre un far nulla da bravi.
Siamo nati per girovagare su quelle colline,
senza donne e le mani tenercele dietro alla schiena.

(primavera 1932)

Mi metto dunque, stamattina, per le strade della mia infanzia e mi riguardo con cautela le grandi colline – tutte, quella enorme e ubertosa come una grande mammella, quella scoscesa e acuta dove si facevano i grandi falò, quelle ininterrotte e strapiombanti come se sotto ci fosse il mare – e sotto c’era invece la strada, la strada che gira intorno alle mie vecchie vigne e scompare, alla svolta, con un salto nel vuoto[...]. Ero sempre arrivato soltanto a quest’orizzonte, a questi canneti [...], ma presentivo di là dal salto, a grande distanza, dopo la valle che si espande come un mare, una barriera remota (piccina, tanto è remota) di colline assolate e fiorite, esotiche. Quello era il mio Paradiso, i miei Mari del Sud, la Prateria, i coralli, Ophir, l’Elefante bianco ecc.

Lettera a Fernanda Pivano – 25 giugno 1942.

Cartolina, raffigurante il panorama di Santo Stefano Belbo, che Pavese inviò a Giulio Einaudi           Cartolina, raffigurante il panorama di Santo Stefano Belbo, che Pavese inviò a Giulio Einaudi

Cartolina, raffigurante il panorama di Santo Stefano Belbo, che Pavese inviò a Giulio Einaudi.

Da bambino e ragazzo vissi in una vallata tra colline, poche, dai tratti famigliari. Le prime idee e i primi sentimenti mi si manifestarono là [...] Di là, il mondo cominciava a svelarmisi immenso e nei pomeriggi afosi tra i giochi talvolta già mi prendeva quell’aspirazione, che mi lasciava colla fantasia al di là di quelle colline lontane dietro un nome, una descrizione dei paesi che scoprivo nelle prime letture.

Taccuini, estate 1926

La collina di Moncucco, il 'Colle' dei Mari del sud

La collina di Moncucco, il “Colle”  dei Mari del sud



I MARI DEL SUD, vv. 1-23

Camminiamo una sera sul fianco di un colle,
in silenzio. Nell’ombra del tardo crepuscolo
mio cugino è un gigante vestito di bianco,
che si muove pacato, abbronzato nel volto,
taciturno. Tacere è la nostra virtù.
Qualche nostro antenato dev’essere stato ben solo
– un grand’uomo tra idioti o un povero folle –
per insegnare ai suoi tanto silenzio.

Mio cugino ha parlato stasera. Mi ha chiesto
se salivo con lui: dalla vetta si scorge
nelle notti serene il riflesso del faro
lontano, di Torino. “Tu che abiti a Torino...”
mi ha detto “...ma hai ragione. La vita va vissuta
lontano dal paese: si profitta e si gode
e poi, quando si torna, come me a quarant’anni,
si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono”.
Tutto questo mi ha detto e non parla italiano,
ma adopera lento il dialetto, che, come le pietre
di questo stesso colle, è scabro tanto
che vent’anni di idiomi e di oceani diversi
non gliel’hanno scalfito. E cammina per l’erta
con lo sguardo raccolto che ho visto, bambino,
usare ai contadini un poco stanchi.

     

Atto di nascita

Atto di nascita


Pavese da piccolo

Pavese da piccolo


Il padre Eugenio Pavese

Il padre Eugenio Pavese,
cancelliere al Tribunale di
Torino (di lui e della
famiglia paterna si occuperà
nella poesia Antenati della
primavera 1932)


La madre Consolina Mesturini

La madre Consolina Mesturini,
figlia di ricchi commercianti di
Ticineto Po

 

Il cugino Silvio Pavese

Il cugino Silvio Pavese

 

 

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