LA COSCIENZA DI SVEVO - Leggere e scrivere secondo Italo Svevo

 

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LA COSCIENZA DI SVEVO

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Dedica

Italo Svevo, Una vita, Trieste, 1893. Dedica a Cesare Rossi. Trieste, Museo Sveviano.

Dedica

Italo Svevo, Una vita, Trieste, 1893. Dedica alla moglie Livia Veneziani. Trieste, Museo Sveviano.

Libreria

Libreria con iniziali di Italo Svevo

Senilita

Italo Svevo, Senilità, Trieste, 1898. Prima pagina con correzioni autografe di Antonio Fonda e Marino de Szombathely. Trieste, Museo Sveviano.

Atto unico

Italo Svevo, Atto unico, scena prima. Trieste, Museo Sveviano.

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Dattiloscritto

Italo Svevo, dattiloscritto della preparazione alla seconda edizione di Senilità con correzioni autografe. Triese, Museo Sveviano.

  

“La vita d' Italo Svevo alla Banca è descritta accuratamente in una parte del suo primo romanzo Una vita. Quella parte è veramente autobiografica. Ed anche le due ore serali di ogni giorno passate alla Biblioteca Civica vi sono descritte. Si trattava finalmente di conquistarsi un po' di cultura italiana. Per varii anni passò quelle ore con Machiavelli, Guicciardini e Boccaccio. Poi fu introdotto nei suoi studii un qualche ordine dalla conoscenza delle opere di Francesco De Sanctis. Ed intanto anche i contemporanei ebbero grande influenza su lui: il Carducci specialmente. Forse per l' influenza del Carducci – e se ne dichiarò amaramente pentito – non amò in quell' epoca, quando si sentiva abbastanza giovanile per apprendere ancora, il Manzoni. Ma anche la passione per il romanzo francese non gliene lasciò il tempo. Una vita è certamente influenzato dai veristi francesi. Lesse molto Flaubert, Daudet e Zola, ma conobbe molto di Balzac e qualche cosa di Stendhal. Nelle sue letture disordinate si fermò lungamente al Renan. Però il suo autore preferito divenne presto lo Schopenhauer.” (Profilo autobiografico)

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“Ogni istante di tempo fuori ufficio od anche all' ufficio ove in un ripostiglio teneva alcuni libri, lo dedicava alla lettura. Erano in generale letture serie di critica o di filosofia, perché di poesia e di arte stancavano meno. Scriveva, ma poco; il suo stile, poco solido ancora, la parola impropria che diceva di più o di meno e che non colpiva mai il centro, non lo soddisfaceva. Credeva che lo studio lo avrebbe migliorato... Non aveva letto interamente un classico italiano e conosceva storie letterarie e studii critici a bizzeffe; più tardi si gettò alla lettura di opere di filosofia tradotte in francese. Scoperse la Biblioteca Civica e quei secoli di cultura messi a sua disposizione gli permisero di risparmiare il suo magro borsellino. Con le sue ore fisse, la biblioteca lo legava, apportava nei suoi studii la regolarità ch' egli desiderava.” (Una vita)   

 Il mistero del poeta  Il mistero del poeta

Antonio Fogazzaro, Il Mistero del Poeta, Milano, 1895, Trieste, Museo Sveviano. 

Shakespeare

Willam Shakespeare, The works of Shakespeare, London. Trieste, Museo Sveviano

La novella del buon vecchio...

Durante l'ultima guerra mondiale i libri e i manoscritti delle opere di Svevo sono andati distrutti. Si è però conservata una copia di Senilità (1898) con le correzioni che l'autore ha apportato al testo in vista della seconda e definitiva edizione del 1928. Si tratta del prezioso testimone di un lungo itinerario verso la piena conquista della lingua italiana.


"Fra alcune settimane ripubblico il mio romanzo Senilità (del 1898), che Le farò inviare. Correttissimo! Un testo di lingua! Forse s'accorgerà ch'io non ho scritto che un romanzo solo in tutta la mia vita. Tanto meno perdonabile di averlo scritto sempre male." (a Enrico Rocca, s.d.)

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Io non mi sento vecchio ma ho il sentimento di essere arrugginito. Devo pensare e scrivere per sentirmi vivo perché la vita che faccio fra tanta virtù che ho e che mi viene attribuita e tanti affetti e doveri che mi legano e paralizzano, mi priva di ogni libertà. Io vivo con la stessa inerzia con cui si muore. E voglio scuotermi, destarmi... Perciò lo scrivere sarà per me una misura di igiene cui attenderò ogni sera poco prima di prendere il purgante. E spero che le mie carte conterranno anche le parole che usualmente non dico, perché solo allora la cura sarà riuscita.” (Il vecchione)

Resto fermo nella mia idea acquisita con lunga, dolorosa meditazione che scrivere a questo mondo bisogna ma che pubblicare non occorre” (lettera a Ferdinando Pasini, 30 agosto 1924). Con questa lapidaria affermazione Svevo liquidava, con la consueta ironia, il suo difficile rapporto con gli editori italiani, che a lungo non aprirono le loro porte allo scrittore, costretto a pubblicare a proprie spese i tre maggiori romanzi.