III. Travestimenti e beffe
Una connotazione decisamente oscena è riservate ai racconti che incorniciano la giornata (1, 10) e marcano i confini dello spazio novellistico con evidente intento comico. L’episodio di Masetto da Lamporecchio (1), che si finge muto per “lavorare l’orto” delle monache, e, grazie a questa sua menomazione, giudicata come requisito positivo, è tanto apprezzato dalle religiose da doversi difendere dai loro appetiti, recupera un motivo parodico già sfruttato nel gatto rosso di Guglielmo IX d’Aquitania (Farai un vers pos mi sonelh). Per l’educazione impartita dal monaco Rustico a Alibech, che apprende come “rimettere il diavolo in Inferno”, il precedente sembra essere la commedia elegiaca Alda, firmata da Guglielmo di Blois, che Boccaccio trascrive nello Zibaldone laurenziano XXXIII 31.
L’ambientazione cortese fa da sfondo al travestimento del palafreniere di Agilulfo, che, per possedere la regina si finge di notte il sovrano (2). Lo scambio d’identità è l’espediente vincente anche per Ricciardo Minutolo (6), vago della moglie di Filippello Sighinolfi. Il passaggio però da suddito a re, della novella seconda, si profila piuttosto come un capovolgimento di ruoli e incarna un motivo fortunato in tutte le letterature, anche a livello popolare, dove ritorna come tema della favola del principe e del povero.
Sempre ispirata all’etica cortese è la novella 5, nella quale un palafreno costituisce l’oggetto di scambio con il quale Zima guadagna l’opportunità di dichiararsi alla donna amata (5), aggirando l’opposizione del marito avaro, pacificato dal dono pregiato. Si risolvono in delle beffe ai danni di coniugi bigotti tanto la consulenza di Don Felice a Puccio (4), con la quale il frate farà penitenza raggiungendo la beatitudine celeste, mentre Don Felice si accontenta di godere di una più mondana felicità con la moglie del malcapitato, quanto la pratica purgatoriale inflitta al sempliciotto Ferondo (8), durante la quale un abate approfitta di sua moglie.