VI. Una riscrittura della Comoedia Lydiae
La Comoedia Lydiae attribuita a Matteo di Vendôme e trascritta da Boccaccio tra le carte dello Zibaldone Laurenziano XXXIII 31 è la fonte della novella 9. Ambientata ad Argo e in un tempo lontano è l’unica unità novellistica eccentrica quanto a coordinate spazio-temporali, in una giornata iscritta all’interno della geografia italiana (Firenze e contado in 1, 6, 8; Napoli in 2; Siena in 3 e 10; Arezzo in 4; Rimini in 5; Bologna in 7) e intesa a celebrare il tempo contemporaneo, quasi la tematica della beffa si legasse strettamente alla realtà della cronaca. Lidia e l’amante Pirro ingannano il marito Nicostrato, facendogli credere che ciò che avviene sotto un albero di pero sia immagine deformata dalla pianta magica e dunque fantasia inconsistente e mendace. Un sottile discrimine separa il sogno dalla realtà e marca il confine tra verità e finzione, alimentando una metafora che potrebbe adombrare la stessa creazione letteraria ma si compiace piuttosto di risolversi in un divertito effetto comico, sancito dal finale abbattimento del pero incantato.