Se si eccettuano 2 aneddoti raccontati nei Rerum memorandarum libri, un cursorio omaggio a Dante come poeta d’amore nel sonetto 287 del Canzoniere, un altrettanto veloce allusione al poeta fiorentino in alcuni versi del Triumphus Cupidinis, e una polemica postilla in un codice di Pomponio Mela per smentire un’informazione geografica contenuta nella Commedia, l’attenzione di Petrarca nei confronti del suo autorevole predecessore appare marginale. A Dante è però interamente dedicata un’epistola (Familiares, XXI 15) indirizzata nel 1359 a Boccaccio (che aveva già nel 1351 donato a Petrarca una copia della Commedia, l’attuale codice Vaticano Latino 3199, dove si può leggere una brevissima e poco chiara annotazione del destinatario) e acutamente definita da Foscolo come “affastellata di contraddizioni, d’ambiguità e d’indirette apologie”[1]. Nella lettera infatti Petrarca, che sintomaticamente non nomina mai né Dante né la Commedia, pur difendendosi dall’accusa, evidentemente diffusa presso i contemporanei, di provare invidia e odio per il suo predecessore, che pure ricorda di aver incontrato una volta da bambino, e pur riconoscendo a Dante il primato nella poesia volgare, dichiara di non aver mai letto la Commedia e rivendica con forza la specificità del proprio profilo intellettuale dedito alla superiore prosa e poesia latine. E tale posizione sarà ancora nella Senile XV 2, in cui, attribuito il primato nell’eloquenza volgare a Dante, Petrarca riconfermerà la superiorità dello “stilus… latinus”. A fronte di un tale esibito atteggiamento di sufficienza si dovrà ricordare che una precoce conoscenza dell’opera dantesca da parte di Petrarca è però indubitabilmente certificata dall’assidua presenza di reminiscenze ed echi testuali non solo nei Trionfi, dove il fenomeno è scontato, ma anche nel Canzoniere e addirittura nelle opere latine. E tuttavia le pur significative coincidenze formali non bastano a smentire, come è stato di recente ricordato[2], un altro acuto giudizio di Foscolo, per il quale le personalità di Dante e Petrarca furono irriducibilmente differenti: “ciascuna fu singolare e diversa in tutto dall’altra”[3].
[1] U. Foscolo, A parallel between Dante and Petrarch, in Id., Opere, a cura di F. Gavazzeni, Torino, Einaudi-Gallimard, 1995, vol. II pp. 634-35: “lengthened out by contradictions, ambiguities, and indirect apologies”.
[2] M. Pastore Stocchi, Petrarca e Dante, in “Rivista di studi danteschi”, a. IV 2004, pp. 184-204.
[3] U. Foscolo, Discorso sul testo della ‘Divina Commedia’, in Id., Studi su Dante, a cura di G. Da Pozzo, Firenze, Le Monnier, 1979, vol. I p. 294.