Le biblioteche del fanciullino. Giovanni Pascoli e i libri - Gli anni a Matera

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Le biblioteche del fanciullino. Giovanni Pascoli e i libri

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Liceo Duni

Palazzo Lanfranchi, sede del Liceo «Duni» di Matera in una fotografia d’epoca

 

Pascoli negli anni di Matera (1882-1884)

Pascoli negli anni di Matera (1882-1884)

 

Lettera di Carducci a Pascoli al tempo dell’incarico bolognese di grammatica greca e latina (24 novembre 1896)

Lettera di Carducci a Pascoli al tempo dell’incarico bolognese di grammatica greca e latina (24 novembre 1896)

 Lettera di Carducci a Pascoli al tempo dell’incarico bolognese di grammatica greca e latina (24 novembre 1896)

 

Bastoni da passeggio del poeta

Bastoni da passeggio del poeta

 

Grazie a Carducci, viene assegnato a Pascoli appena laureato un posto d'insegnamento in un liceo di Matera.

Col soggiorno materano (1882-1884) terminano bohème e goliardia («O amici bolognesi! O fami bolognesi! O sventura bolognese!»), mentre si delinea il progetto di vita che il «pellegrino» riuscirà in breve tempo a realizzare: per Pascoli la meta di tante peripezie è il quieto nido, la «casina» dove condurre Ida e Maria, le sorelle orfane e sole in balia di un parentado talora ostile.
Nel biennio di Matera questo è il fulcro di ogni sua iniziativa: l'impegno nello studio per avanzare nella carriera scolastica e l'uscita dalla clandestinità della poesia.
Resta sempre Carducci l'interlocutore mirato di progetti e lamentazioni: «Non c'è un libro qua: da vent'anni che c'è un liceo a Matera nessuno n'è uscito con tanta cultura da sentire il bisogno d'un qualche libro; i professori pare che abbiano la scienza infusa; e perciò di libri non se n'è comprati». Siamo all'ottobre 1883: inaugurandosi il secondo anno lucano Pascoli sembra deciso a prendere qualche iniziativa per sopperire alla penuria che lo blocca. «Ci vorrebbe forse», continua sempre discorrendo con Carducci «un sussidio del governo; ma il governo probabilmente non ne vorrà sapere nulla. Se me ne dessero uno a me, anche tenue, anche minimo! [ ... ] Sarebbe una buona ventura per me se potessi avere ora quelle poche lire da comprare libri coi quali studiare e insegnare: da cosa nasce cosa; studiando, farò articoli e mi procaccerò dei titoli; insegnando bene spero d'avanzarmi e di prepararmi ai concorsi». E la lettera si conclude con una richiesta precisa: «Avrei bisogno dei canti popolari greci-moderni raccolti dal Fauriel, e quelli del Passow. Avrei bisogno dell'edizione grande del Bergk. Se li domando al Ministero, me li farà avere da qualche Biblioteca?».
Pascoli riesce a ottenere un incarico comunale per la sistemazione e l'aggiornamento della Biblioteca annessa al Liceo «Duni». In compenso, può alloggiare nel Collegio e lasciare così il sottoscala infestato dai topi che lo tormentano.
È lo stesso preside del Liceo, Vincenzo Di Paola, ad annunciare nel 1884 la ristrutturazione della Biblioteca e insieme l'allestimento di un «museo di antichità paesane» (sarà poi il Museo Ridola). Sembrano così compendiarsi in Basilicata i due grandi centri attorno ai quali ruotano gli interessi pascoliani: la cultura classica e quella popolare.
Per anni e anni Pascoli ricorderà gli allievi di Matera: «Spezzai lì» dirà «quel poco che avevo di pane della scienza e mangiai il primo dolcissimo pane del lavoro». E li menziona rípetutamente, chiamandoli per nome, uno a uno, finché diventeranno per lui altrettante antonomasie con le quali designare gli allievi di Massa o di Livorno («io ho qua [a Massa, nel 1885] un buono e caro Pugliese sempre insieme a un altro, che è perciò il mio Barberio...»).
I quali non dimenticheranno le letture condotte con il professore d'eccezione: «Non v'è momento della mia vita» scriverà Nicola Festa «in cui io dimentichi quello che debbo al Pascoli, io, particolarmente come suo scolaro di liceo: al Pascoli che col suo meraviglioso inimitabile tocco di poeta tramutò, improvvisamente, la materia opaca e inerte, di quel che suole essere l'insegnamento classico-liceale, in spirito di vita, in verbo radiante luce e calore senza fine: e condusse me e i miei compagni a mirare da presso l'aspra e scabra maschera di Aristofane, solcata dalla smorfia d'un riso che somiglia al pianto, la pacata e luminosa fronte di Platone, i ciechi occhi, colmi d'uno splendore solare, del sovrano poeta Omero».

Rebus inviati da Pascoli alle sorelle negli anni di Matera

Rebus inviati da Pascoli alle sorelle negli anni di Matera