

| | Per comprendere l’opera di Saba bisogna tener presente il rapporto saldissimo, di profondo affetto, insieme psicologico e poetico, che unì il poeta alla sua città e che costituisce uno degli aspetti più caratterizzanti della sua attività letteraria. L’impressione che lascia, nel suo insieme, la lettura del Canzoniere è quella di una «coraggiosa affermazione della vita» sullo sfondo di «una bella giornata». Di una bella giornata vissuta a Trieste Storia e cronistoria del Canzoniere Per Saba infatti la poesia rifugge da generalità e astrattismo e coincide con la rappresentazione e l’interpretazione di una determinata realtà ambientale e geografica: Trieste. «Io non sono stato un poeta triestino, ma un poeta italiano, nato, nel 1883, in quella grande città italiana che è Trieste. Non so nemmeno se – dal punto di vista dell’igiene dell’anima – sia stato per me un bene nascere con un temperamento classico in una città romantica; e con un carattere (come quello di tutti i deboli) idillico, in una città drammatica. Fu un bene – credo – per la mia poesia, che si alimentò di quel contrasto, e un male per la mia – diciamo così – «felicità di vivere». Comunque, il mondo io l’ho guardato da Trieste: il suo paesaggio, materiale e spirituale, è presente in molte mie poesie e prose, pure in quelle – e sono la grande maggioranza – che parlano di tutt’altro e di Trieste non fanno nemmeno il nome. Del resto, io non credo né alle parole né alle opere degli uomini che non hanno le radici profondamente radicate nella loro terra: sono sempre opere e parole campate in aria. Discorso pronunciato in occasione dei festeggiamenti per il settantesimo compleanno al Circolo della cultura e delle arti, 19 ottobre 1953. |
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| | TRIESTE HO ATTRAVERSATA TUTTA LA CITTÀ. POI HO SALITA UN'ERTA, POPOLOSA IN PRINCIPIO, IN LÀ DESERTA, CHIUSA DA UN MURICCIOLO: UN CANTUCCIO IN CUI SOLO SIEDO; E MI PARE CHE DOVE ESSO TERMINA TERMINI LA CITTÀ. TRIESTE HA UNA SCONTROSA GRAZIA. SE PIACE, È COME UN RAGAZZACCIO ASPRO E VORACE, CON GLI OCCHI AZZURRI E MANI TROPPO GRANDI PER REGALARE UN FIORE; COME UN AMORE CON GELOSIA. DA QUEST'ERTA OGNI CHIESA, OGNI SUA VIA SCOPRO, SE MENA ALL'INGOMBRATA SPIAGGIA, O ALLA COLLINA CUI, SULLA SASSOSA CIMA, UNA CASA, L'ULTIMA, S'AGGRAPPA. INTORNO CIRCOLA AD OGNI COSA UN'ARIA STRANA, UN'ARIA TORMENTOSA, L'ARIA NATIA. LA MIA CITTÀ CHE IN OGNI PARTE È VIVA, HA IL CANTUCCIO A ME FATTO, ALLA MIA VITA PENSOSA E SCHIVA. Trieste e una donna, 1910 - 1912 |
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 | | Trieste nei primi decenni del secolo era una città inquieta: divisa tra più culture, si presentava contemporaneamente in arretrato e in anticipo rispetto all’Italia, tanto che Saba poteva affermare: «Nascere a Trieste nel 1883 era come nascere altrove nel 1853». Scrivono Ara e Magris: «Periferica rispetto ai grandi filoni della civiltà ottocentesca, ad esempio l’idealismo, Trieste diviene una punta avanzata della cultura analitica che nasce dalla crisi di quella civiltà unitaria.» La città era ugualmente divisa tra le sue varie anime etniche (l’ariana e l’ebraica, l’italiana, la tedesca e la slava) come tra le varie tendenze: l’attività mercantile, quel culto di Mercurio che era l’unico criterio di funzionalità economica che alimentava la solida realtà borghese, e l’anima romantica. |
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 | | Ricordo le passeggiate quotidiane che facevo con la tua – mia grande Lina. Si scendeva dalla collina di Montebello, dove si abitava e si percorreva quasi tutta Trieste. Il suo incanto maggiore stava nella sua varietà. Svoltare un angolo di strada voleva dire cambiare continente. C’era l’Italia e il desiderio dell’Italia, c’era l’Austria (mica poi tanto cattiva come si pensava), c’era l’Oriente, c’era il Levante coi suoi mercanti in fez rosso, e molte altre cose ancora. Si finiva quasi sempre, prima di rincasare, in una piccola pasticceria ebraica di città vecchia, una pasticceria più antica che vecchia e nella quale si confezionavano i dolci migliori che abbia mai assaggiati, ed ai quali aveva sospirato invano la mia, già remota infanzia. Dio mio, Linuccia, com’era bella allora tuamadre! E come era bella, allora, la nostra città! Trieste come la vide, un tempo, Saba (1957) |
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 | | Quando si parla della famosa «triestinità» di Saba la si deve intendere nel senso di una simbiosi non solo sentimentale, ma anche fisica. Non a caso il colore preferito dal poeta è l’azzurro, che poteva ammirare nel mare e nel cielo di Trieste. Tutta la città gli è cara: è un amore fisico che si unisce a quello della «calda Vita» che vede brulicare per le strade e le piazze. La città lo affascinava nei suoi contrastanti aspetti di crogiolo di razze. Su questo trafficante amalgama di persone così etnicamente diverse (vi sono, oggi ancora, triestini che hanno nel sangue dieci dodici sangui diversi; ed è questa una delle ragioni della «nevrosi» particolare ai suoi abitanti) la lingua e la cultura italiana fecero da cemento; s’imposero per un processo affatto spontaneo. Ma lingua e cultura a parte, Trieste fu sempre, per ragioni di «storia naturale» dalle quali le città come gli individui non possono evadere, una città cosmopolita. Era questo il suo pericolo, ma anche il suo fascino. Inferno e paradiso di Trieste (1946) |
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| | La bellissima Trieste è sempre stata, e forse sarà sempre, qualunque sia per essere il suo destino, una città nevrotica, e l’esservi nati non è solo e sempre un privilegio. Trieste è, per così dire, l’antinapoli, dove (intendiamo a Napoli) i nervi si distendono e le complicazioni della vita appaiono meno tragiche. Le donne triestine, Grazia, 1946 «E’ una città stravagante» mi soccorse in buon punto il giovane scrittore Federico Almansi, mentre mi accompagnava quest’estate per il Viale XX settembre. E, con negli occhi una luce di superstite gratitudine o tenerezza per il suo vecchio vecchissimo maestro, aggiungeva: «Come te». Se fossi nominato governatore di Trieste (1948) |
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| | All’indomani della seconda guerra mondiale, Trieste si ritrovò di nuovo separata dall’Italia, sotto l’occupazione alleata. Saba intervenne nell’acceso dibattito in corso con uno scritto del 1946 Inferno e paradiso di Trieste, in cui si schierava contro l’annessione alla Jugoslavia e comunque esponeva molti dubbi sulla possibilità di faredi Trieste uno Stato libero, possibile solo nel caso che «gli uomini fossero ragionevoli (adulti cioè invece di bambini e cattivi bambini) e che gli italiani e gli slavi comprendessero che le distanze sono fatte per essere superate e che, se convivere bisogna, meglio è convivere con reciproca soddisfazione». Lo scritto inizia con una sorta di favoletta allegorica. Trieste era come una bella donna sposata a un ricco banchiere. Il banchiere era, anzichenò, anziano; e non si può dire che fra i due corressero rapporti d’amore propriamente detti. Ma la donna non poteva lamentarsi troppo del suo primo marito. Questi l’amministrava bene, e, senza chiederle troppo, non le faceva mancare né il superfluo né il necessario. La donna aveva, come usa in questi casi, l’amante del cuore. Quando il vecchio, che si chiamava Austria, volle, contro ogni consiglio dell’inutile saggezza, fare cosa contraria alla sua età e andare in guerra, finì, dopo qualche effimero successo, male. La donna sposò allora l’amante del cuore. Disgraziatamente, questi era, in quel tempo, afflitto da una brutta malattia, che simulava, a volte, l’euforia, e si chiamava fascismo. Oggi ne è – almeno si spera – guarito. Ma la guarigione non gli tolse di perdere anche lui la bella donna, che rimase vedova per la seconda volta. Adesso altri pretendono alla sua mano. Lacerata da interni conflitti, da paure, ricordi, rimpianti, la donna non saprebbe – pare – decidersi. Ma infine è quasi certo che, lasciata veramente a se stessa, ritornerebbe, con qualche precauzione, all’amante del cuore. Troppo bene gli ha voluto in passato. Ma quello che soprattutto la lega al suo primo amore è il fatto incontestabile che parlano tutti e due la stessa lingua. Inferno e paradiso di Trieste (1946)
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| | L’opinione di Saba sulle donne di Trieste: Tutti quelli che si recavano la prima volta a Trieste rimanevano sorpresi dalla singolare bellezza delle sue donne. Di belle donne se ne possono vedere dovunque, ma la bellezza della donna triestina aveva un’impronta particolare, che poteva perfino sembrare – e, si capisce,non era – misteriosa. Nasceva dall’incrocio delle razze e dalle caratteristiche della terra della quale esse erano uno dei frutti. Una bellezza fatta di mare e di monti rocciosi, il primo si rifletteva quasi sempre nel colore degli occhi, i secondi si ritrovavano nella struttura del corpo, che univa, alla delicatezza delle linee femminili, qualcosa di più scabro e di più resistente. Aggiungeremo subito che poche donne al mondo sapevano vestire meglio delle donne triestine. La loro eleganza era famosa. Non era un’eleganza «costosa», un’eleganza da grande sartoria: ma, nella maggior parte dei casi, nata solo dal buon gusto innato e dall’appassionato desiderio di piacere, a se stesse forse prima ancora che agli altri. Altre due qualità differenziavano le donne triestine: queste erano il loro «romanticismo» da una parte, e dall’altra la loro «emancipazione». Che cosa era veramente il «romanticismo» delle triestine? Era, soprattutto, un modo più appassionato di sentire e di esprimersi; un tendere, e non solamente a parole, anche al di là delle possibilità offerte dalla vita e dall’amore. Questo «romanticismo» aveva però un correttivo: ed era una certa «asprezza», che metteva fuori le sue punte quando altri meno se lo sarebbe aspettato. Quasi tutte le ragazze di Trieste, senza nulla perdere per questo della loro femminilità, aggiungendovi anzi come un sapore nuovo, erano un poco «maschiacce». Le donne triestine, Grazia, 1946 |
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| | La città natale ha una forte presenza nella lirica di Saba: Trieste è stata il suo osservatorio privilegiato e l’atmosfera triestina si dispiega nel Canzoniere sia in forma esplicita, nelle famose liriche, Trieste,Tre vie, Verso casa, Città vecchia, Via della Pietà, Il molo, sia in forma implicita, perché tutte le poesie presuppongono il continuo rapporto con la città, secondo una costante che è stata felicemente definita la triestinità-universalità di Saba. A Trieste ove son tristezze molte, e bellezze di cielo e di contrada, c’è un’erta che si chiama Via del Monte. Incomincia con una sinagoga E termina ad un chiostro; a mezza strada Ha una cappella; indi la nera foga Della vita scoprire puoi da un prato, e il mare con le navi e il promontorio, e la folla e le tende del mercato. da Tre vie |
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| | Pur se il rapporto con la sua città si fece, nel corso degli anni, più ambivalente, l’amore per Trieste accompagna Saba per tutta la sua esistenza e si identifica con quel «doloroso amore della vita» che è il tema dominante del Canzoniere: Ora, tra gli innumerevoli equivoci che mi hanno, in sede giornalistica, perseguitato tutta la vita, c’è stato anche quello di fare di me «il poeta di Trieste»; e tu sai benissimo che sono stato altra cosa. Ma quella Trieste della quale ho parlato e cantato, non era la Trieste di oggi, e nemmeno di ieri. Da quando nacqui fino allo scoppio della prima guerra mondiale (ed anche più tardi) Trieste era sempre quella veduta, conosciuta nell’infanzia, scoperta poi: una città bella tra i monti rocciosi e il mare luminoso. Mia perché vi nacqui, più che d’altri mia, che la scoprivo fanciullo, ed adulto per sempre a Italia la sposai col canto I monti rocciosi, il mare luminoso sono rimasti; il resto Trieste come la vide, un tempo, Saba (1957) |
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| | Di Trieste Saba amò anche la locale squadra di calcio (la vostra gloria, undici ragazzi, / come un fiume d’amore orna Trieste), a cui dedicò una serie di poesie. Del calcio così scriveva: E’ (il gioco) più popolare che ci sia oggi, ed è quello in cui si esprimono con più appassionata evidenza le passioni elementari della folla. L’atmosfera che si forma intorno a quegli undici fratelli che difendono la madre è il più delle volte così accesa da lasciare incancellabili impronte in chi ci è vissuto dentro. E questo per non parlare della bellezza visiva dello spettacolo, dei gesti necessari dei giocatori durante lo svolgimento della gara. Che dire poi di quello che succede tra il pubblico e i giocatori quando una squadra paesana riesce a segnare un goal contro una squadra superiore (la cui superiorità molte volte è dovuta a denaro) e rinnova, sotto gli occhi dei concittadini, lucenti alle lacrime, il miracolo di Davide che vince il gigante Golia?
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 | | GOAL IL PORTIERE CADUTO ALLA DIFESA ULTIMA VANA, CONTRO TERRA CELA LA FACCIA, A NON VEDER L’AMARA LUCE. IL COMPAGNO IN GINOCCHIO CHE L’INDUCE, CON PAROLE E CON MANO, A RILEVARSI, SCOPRE PIENI DI LACRIME I SUOI OCCHI . LA FOLLA – UNITA EBBREZZA – PAR TRABOCCHI NEL CAMPO. INTORNO AL VINCITORE STANNO, AL SUO COLLO SI GETTANO I FRATELLI. POCHI MOMENTI COME QUESTO BELLI, A QUANTI L’ODIO CONSUMA E L’AMORE È DATO, SOTTO IL CIELO, DI VEDERE. PRESSO LA RETE INVIOLATA IL PORTIERE – L’ALTRO – È RIMASTO. MA NON LA SUA ANIMA, CON LA PERSONA VI È RIMASTA SOLA. LA SUA GIOIA SI FA UNA CAPRIOLA, SI FA BACI CHE MANDA DI LONTANO. DELLA FESTA – EGLI DICE – ANCH’IO SON PARTE. Cinque poesie per il gioco del calcio |