HO DATO POESIA AGLI UOMINI CESARE PAVESE 1908 - 1950 - Il mito delle langhe

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"HO DATO POESIA AGLI UOMINI" CESARE PAVESE 1908 - 1950

Il mito delle langhe
Il mito delle langhe
              

Il mito è insomma una norma, lo schema di un fatto avvenuto una volta per tutte, e trae il suo valore da questa unicità assoluta che lo solleva fuori del tempo e lo consacra rivelazione. Per questo esso avviene sempre alle origini, come nell’infanzia: è fuori del tempo. Un uomo apparso un giorno, chi sa quando, sulle tue colline, che avesse chiesto dei salici e intrecciato un cavagno e poi fosse sparito, sarebbe il genuino e più semplice eroe incivilitore. Mitica sarebbe questa rivelazione di un’arte, quando quel gesto fosse, beninteso, di un’unicità assoluta, non avesse presente e non avesse passato, ma assurgesse a una sacrale eternità che fosse paradigma a ogni intrecciatore di salici.

Feria d’agosto, Del mito, del simbolo e d’altro, 1943-44



Le Langhe
Le Langhe



Una sera sorgeva la luna, sul ciglio della collina. Gli alberelli lontani erano neri; la luna, enorme, matura. Ci fermammo. Io dissi: - Tutti gli anni, a settembre, la luna è la stessa, eppure mai che me ne ricordi. Tu lo sapevi ch’era gialla?
L’amico guardò la luna, e ci pensava. Mi pareva davvero di non averla mai vista così, ma insieme di averne in bocca il sapore, di salutare in lei qualcosa di antico, d’infantile, tanto che dissi: - E’ una luna da vigna. Da bambino credevo che i grappoli d’uva li faccia e li maturi la luna.
Non so, - disse l’amico. – Per me è sempre la stessa.
Ora il brivido mi aveva lasciato e la luna col suo sapore di vendemmia ci guardava entrambi come una creatura che conoscevo e ritrovavo.

Feria d’agosto, Il Tempo, 8 aprile 1942


La luna, - disse Nuto, - bisogna crederci per forza. Prova a tagliare a luna piena un pino, te lo mangiano i vermi. Una tina la devi lavare quando la luna è giovane. Perfino gli innesti, se non si fanno ai primi giorni della luna, non attaccano.
Allora gli dissi che nel mondo ne avevo sentite di storie, ma le più grosse erano queste. Era inutile che trovasse tanto da dire sul governo e sui discorsi dei preti se poi credeva a queste superstizioni come i vecchi di sua nonna. E fu allora che Nuto calmo calmo mi disse che superstizione è soltanto quella che fa del male, e se non adoperasse la luna e i falò per derubare i contadini e tenerli all’oscuro, allora sarebbe lui l’ignorante e bisognerebbe fucilarlo in piazza.

La luna e i falò

C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire “ Ecco cos’ero prima di nascere”.
Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da una casa di balconi. La ragazza che mi ha lasciato sugli scalini del duomo di Alba, magari non veniva neanche dalla campagna, magari era la figlia dei padroni di un palazzo, oppure mi ci hanno portato in un cavagno da vendemmia due povere donne da Monticello, da Neive o perché no da Cravanzana. Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione.

La luna e i falò, capitolo I

    

L’amico Pinolo Scaglione (Nuto) davanti alla sua falegnameria

L’amico Pinolo Scaglione
(Nuto) davanti alla sua
falegnameria


La luna e i falò, prima edizione 1950: in copertina, un particolare di un quadro di Carlo Carrà

La luna e i falò, prima
edizione 1950: in copertina,
un particolare di un quadro di
Carlo Carrà

 

 

Il mito delle langhe