

Italo Svevo, Una vita, Trieste 1893. Trieste, Museo Sveviano. 
Italo Svevo, Senilità, Trieste 1898. Dedica autografa a Cesare Rossi. Trieste, Biblioteca Civica A. Hortis. 
Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Bologna 1923. Trieste, Museo Sveviano. 
Italo Svevo, Una vita, Trieste 1893. Inizio del secondo capitolo con correzioni. Trieste, Museo Sveviano. 
Umberto Veruda, Ritratto di Svevo con la sorella Ortensia, 1892, Olio su tela. Trieste, Collezione privata | | Ettore Schmitz (1861-1928) sceglie lo pseudonimo di Italo Svevo per alludere alle due culture, l'italiana e la tedesca, che segnano la sua formazione di triestino. In bilico fra due mondi, l'impero austroungarico e la patria italiana, Trieste è infatti l'estremo lembo di entrambi, luogo fervido di industrie e commerci e insieme crocevia, inquieto eppure sollecitante, di genti diverse. Padrone solo del dialetto, che nella città parlano anche le classi agiate, Svevo fatica non poco, assecondando precocemente l'attitudine alla scrittura, per impadronirsi dell'italiano, la lingua prediletta. Ma esprimersi è per lui il bisogno invincibile di tradurre nella pagina il disagio che gli spiriti più sensibili avvertono allo spirare dell'Ottocento, quando l'Europa si appresta a mutare volto e la modernità del nuovo secolo si annuncia sconvolgente. Tutt'altro che figlio d'arte, dopo gli studi tecnici che dovrebbero avviarlo all'attività industriale del padre, Svevo cercherà di contraddire il destino segnato dedicandosi alla letteratura. Impiegato di banca e poi imprenditore, non tralascia tuttavia la sua più autentica vocazione di narratore, anche se né il grande pubblico né i lettori di professione accordano udienza ai suoi romanzi. Clamorosamente negletti, Una vita (1892), Senilità (1898) e La coscienza di Zeno (1923), ritraggono personaggi che gli somigliano, travagliati come lui dal "male di vivere" annidato negli abissi della coscienza, che l'opera letteraria cerca di portare alla luce. Lo scavo interiore, di cui la scrittura diviene uno strumento, è peraltro la terapia suggerita a Svevo dagli studi clinici che cominciano ben presto a ingrossare la sua biblioteca. Accanto a Darwin e Schopenhauer, accanto ai capolavori della narrativa ottocentesca italiana e d'oltralpe, campeggiano i volumi di psichiatria e di quella che a Trieste, non lontana dalla Vienna di Freud, già viene definita psicanalisi. Sarà l'amicizia di James Joyce a collocare Svevo in Francia, dove già si traduce e si rappresenta l'opera di Pirandello, e Proust ha preparato i lettori al racconto dell'interiorità. Comincia così, ma solo nel 1925, a tre anni dalla morte, la fortuna dello scrittore, sostenuto in Italia dal giovane Montale. Risarcimento tardivo di un talento frustrato per anni e anni, durante i quali però la penna non era mai caduta nell'oblio: più spesso abbozzati che conclusi, racconti e testi teatrali testimoniano la vocazione invincibile e ininterrotta del grande misconosciuto che oggi riveste un ruolo di primo piano nella letteratura europea. 
“Svevo appartiene a quella generazione di scrittori nella quale si compie , con risultati di altissima poesia, la fondamentale rivoluzione della letteratura moderna, ossia la disarticolazione della totalità e del grande stile e dell’ordine che essi impongono al mondo con imperiosa armonia..............Svevo è lo scrittore che forse più di ogni altro ha compreso il crepuscolo del soggetto, la sua eclisse. Ma se ciò fa di lui uno dei padri dell’avanguardia, egli è anche lo scrittore dell’intervallo e del sottaciuto, del non-detto e della pausa; è un maestro in quell’arte della reticenza e del taciuto che si identifica col grande stile.” (Claudio Magris) 
Umberto Veruda, Ritratto di uno scultore, Olio su tela, 205 x 143 cm. Musei Civici Veneziani, Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro, Venezia 

Italo Svevo giura "sul coperchio del cesso" di non fumare più. Trieste, Museo Sveviano. |