Dalla Sicilia all'Europa: l'Italia di Brancati |
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| La conquista di Roma Nel 1931 Brancati è già celebre. Ha composto versi, racconti e un dramma, Everest, che si segnala all'attenzione di Mussolini. Il duce riceve così a Roma lo scrittore ventitreenne: un incontro che gli aprirà molte porte. Più tardi, quando avrà consumato slanci e illusioni della giovinezza, dirà che «l'emozione della vista del dittatore» tradiva allora in lui «un moto – inconscio – di ammirazione per la libertà. In una società totalitaria, il dittatore spicca come il solo uomo libero». La collaborazione, nei primi anni Trenta, con le testate romane «Tevere» e «Quadrivio» non è tuttavia senza incidenti e non a caso Brancati stringe ora amicizia con Leo Longanesi e Mino Maccari, fascisti di «fronda» che contestano il regime con le armi dell'ironia e della satira sulle colonne dell' «Italiano» o di «Omnibus». Sui vent'anni, io ero fascista sino alla radice dei capelli. Non trovo alcuna attenuante per questo: mi attirava, del fascismo, quanto esso aveva di peggio, e non posso invocare per me le scuse a cui ha diritto un borghese conservatore dalle parole Nazione, Stirpe, Ordine, Vita tranquilla, Famiglia, ecc. Per effetto di non so quale triste tendenza, che si annidava nel fondo della mia natura, e che ancor oggi mi fa dormire con un occhio solo come il custode nella casa già visitata dai ladri, sui venti anni io mi vergognavo sinceramente di ogni qualità alta e nobile e aspiravo ad abbassarmi e invilirmi con lo stesso candore, avidità, veemenza con cui si sogna il contrario. Forse a causa della mia gracilità (e un poco delle mie letture: Ibsen, Anatole France, Pirandello, Bergson, Gentile, Leopardi frainteso) io guardavo con stupita ammirazione, come a statue di Fidia, a quelli fra i coetanei ch'erano più robusti e più idioti, e avrei dato due terzi di cervello per un bicipite ben rilevato. |