Giuseppe Verdi: un mito italiano - la maturità artistica

Sommario     Pagina precedente     Pagina successiva     Indice mostre

Giuseppe Verdi: un mito italiano

tit_matur_verdi

 

Incoronato dalla fama di massimo compositore italiano vivente, Verdi si appresta a presentarsi davanti al pubblico dell’Opéra di Parigi, che per lui, come per tutti gli altri musicisti suoi coetanei, costituisce la meta più ambiziosa e ardua. E’ vero che anni prima aveva scritto “Jerusalemme”, la versione de “I Lombardi alla prima crociata”, rimaneggiata per il pubblico parigino. Ma ora deve misurarsi con un’opera originale, in cinque atti, su libretto di Eugène Scribe, il librettista francese vivente più in auge. L’opera dovrà debuttare nella stagione del carnevale del 1855. Per l’occasione, sceglie un testo che Scribe realizzò per “Il duca de Alba”, un’opera di Donizetti rimasta incompiuta. Adesso l’azione si trasferisce in Sicilia nell’anno 1282, quando scoppia l’insurrezione contro i francesi, avvenimento che, secondo la mitologia del Risorgimento, era il preludio della liberazione italiana dal giogo straniero. In questo grande affresco storico si introduce un dramma familiare, centrato nel personaggio del governatore Monfort, il quale, dopo aver scoperto in mezzo ai rivoltosi il proprio figlio, si dibatte tra la ragione dello Stato e gli affetti privati. È la prima volta che Verdi intraprende la composizione di una grand-opéra conforme a tutte le regole stabilite: dalla grandiosità del tema alla composizione delle parti ballate, di più di tre ore di durata. Una mole di lavoro, come dirà lo stesso Verdi, “capace di uccidere un toro”. Ma Verdi supera brillantemente la sfida, perché l’opera “Les Vêpres Siciliennes”, che andò in scena all’Opéra, il 13 giugno del 1855, ottenne un grandissimo successo, accresciuto dalla concomitanza con L’Esposizione Universale organizzata da Napoleone III.

 Angel de Saavedra, Duca di Rivas

Angel de Saavedra, Duca di Rivas(1791-1865)
Autore del dramma “Don Álvaro o la fuerza del sino” a cui si ispirò Verdi per scrivere la sua opera.
Parma - Istituto Nazionale di studi verdiani

Pochi mesi dopo, il 26 dicembre del 1855, l’opera, tradotta in italiano, arriva al teatro Ducale di Parma, dove si presenta con il titolo di “Juana de Guzmán”, per esigenze della censura.
Dopo l’adattamento di “Il Trovatore” per il pubblico di Parigi che, con l’aggiunta dell’abituale balletto, si trasforma in “Le Trouvère” (12 gennaio 1857), Verdi si dedica alla composizione di “Simon Boccanegra” la cui fonte è il dramma omonimo dello stesso autore di “El Trovador”, lo scrittore spagnolo Antonio García Gutiérrez. L’opera debutta alla Fenice di Venezia il 12 marzo 1857, ma il pubblico la accoglie freddamente: l’insuccesso è dovuto alla complessità della trama e alla sua “tinta” oscura e desolante che riflette la solitudine dell’uomo potente. Tuttavia, Verdi è convinto che il tema sia valido e, molti anni dopo, nel 1880, in occasione di un invito di Giulio Ricordi, rivede la partitura aiutato da Arrigo Boito e riscrive la fine del primo atto e alcune parti del secondo e del terzo.
Dopo aver rimaneggiato “Stiffelio”, col nuovo titolo “Aroldo” che inaugura con successo effimero il Teatro di Rimini il 16 agosto del 1857, Verdi passa a lavorare a un’altra opera per il teatro San Carlo di Napoli. Con molte esitazioni, opta per una piéce di Scribe, “Gustave III” o “Le Bal masqué” che Auber aveva già musicato con risultati modesti. La storia dell’omicidio del Re Gustavo III di Svezia, nel 1792, per mano di un cavaliere della corte, attrae Verdi per la mescolanza di elementi drammatici e giocosi, a metà strada tra la tragedia e la commedia. La trama gli permette di descrivere una corte allegra e sfavillante e un protagonista diviso tra l’amore e l’amicizia. Il libretto di Antonio Somma incontra tali problemi con la censura borbonica che quelli subiti a suo tempo dal “Rigoletto” appaiono insignificanti.

 
 
Vespri Siciliani
vespri siciliani
Incisione di R. Focosi per il frontespizio della partitura per canto e pianoforte
Milano, Ricordi (1858)
 
L’attentato mancato contro Napoleone III, che il 3 gennaio del 1859 perpetrò l’italiano Felice Orsini, esaspera la censura, che non tollera che si metta in scena un regicidio. La proposta di adattare la musica composta per il libretto di “Adelia degli Adimari”, tradizionale storia d’amore ambientata a Firenze nel secolo XIV, si scontra con l’indignazione di Verdi che ha un grande considerazione della sua arte ed è dell’idea che non può essere modificata con una qualsiasi situazione drammatica. A tal fine, avvia una trattativa con l’impresario Vincenzo Jacovacci, per rappresentare l’opera a Roma, dove comunque gli chiedono di apportare dei cambiamenti, spostando l’azione dalla Svezia alla Boston del secolo XVII e trasformando la veggente in un’indovina di colore. Tali ritocchi però non sminuiscono l’essenza del dramma che debutta il 17 febbraio 1859. “Un ballo in maschera” ottiene un sensazionale successo, e sarà accompagnato da molti “Viva VERDI!”. La parola d’ordine politica fu creata in questa occasione, il che ci permette di capire fino a che punto erano mature le cose: pochi mesi dopo, in effetti, tra la primavera e l’estate di quello stesso anno, l’Austria verrà sconfitta e l’Italia otterrà l’unità nazionale.
Nel mese di gennaio 1861, Verdi riceve un invito dal teatro Imperiale di San Pietroburgo, per scrivere un’opera nuova che avrebbe dovuto debuttare nella stagione successiva. La fonte tematica scelta è il dramma spagnolo “Don Álvaro” o “La fuerza del sino” de Ángel Saavedra, duca di Rivas, che aveva debuttato a Madrid nel 1835. Qui le complicate vicissitudini dei personaggi sono incorniciate in un grande affresco dai toni epici. Ancora una volta Verdi affida la stesura del libretto a Piave, al quale, come di consueto, richiede soprattutto sintesi e vigore poetico.
 
 
Gli suggerisce inoltre, per la scena dell’accampamento militare nel terzo atto, di ispirarsi al dramma di Shiller “L’accampamento di Wallestein”, quadro imponente della Guerra dei Trent’Anni, dai colori estremamente variati e vivi. Verdi arriva a San Pietroburgo il 6 dicembre del 1861, in pieno inverno russo, per completare la strumentazione della sua opera, ma a causa di un’indisposizione della prima donna, il debutto si rimanda all’autunno successivo. Allora Verdi ne approfitta per andare prima a Parigi e poi a Londra, dove compone per l’Esposizione Universale del maggio 1862, una cantata per voce, coro e orchestra con testo del giovane Arrigo Boito. La intitola “Inno alle nazioni”.
Comunque, “La forza del destino” debutta a San Pietroburgo il 10 novembre del 1862, con un successo sensazionale. Verdi però non è totalmente soddisfatto del finale dell’opera, che termina con il suicidio di don Álvaro in un clima esasperatamente drammatico. Troverà la soluzione giusta più avanti, sotto l’influenza dei “I Promessi sposi” di Manzoni, che ha conosciuto nel 1868 nei salotti di Clara Maffei. Verdi decide di concludere la storia sul filo della rassegnazione cristiana: don Álvaro non maledice più il Cielo, ma accetta la volontà divina e il peso del suo destino. In questa versione, che inoltre si arricchisce con la celebre Sinfonia, “La forza del destino” viene rappresentata con successo il 27 febbraio del 1869 nel Teatro della Scala, dove il maestro aveva ottenuto i primi successi e dove, a causa di alcune controversie, non era più tornato per venticinque anni.
L’impegno successivo di Verdi è con l’Opéra di Parigi. In questa occasione dopo aver sperato di lavorare al “Re Lear” di Shakespeare, progetto a cui tornava periodicamente senza concretizzarlo mai, decide infine di dedicarsi al “Don Carlos” di Shiller. Il libretto è dei francesi Joseph Méry y Camille Du Locle e si inscrive nel genere della grand-opéra, in cui i conflitti personali si intrecciano al grande affresco storico.
 
 
Qui il musicista riesce a ricreare l’atmosfera cupa della corte spagnola di Filippo II, dove i destini individuali dei protagonisti sono schiacciati dal peso del dovere, della ragione di Stato e della gerarchia sociale. Verdi, che si entusiasma all’argomento, si dedica con fervore alla composizione, ma alla fine l’opera risulta troppo lunga, persino per le dimensioni mastodontiche della
grand-opéra
. Per questo si vede costretto a tagliare varie parti, soluzione che tuttavia non gli risparmia le riserve della critica, né la fredda accoglienza del pubblico parigino, al debutto del 11 marzo 1867. Verdi è consapevole che la lunghezza del “Don Carlos” ostacolerebbe la rappresentazione nei teatri italiani, dato lo sforzo finanziario che comporta un allestimento teatrale del genere. Per questo, varie volte taglia e cambia diverse parti dell’opera. Nel 1883 si decide a rimaneggiare a fondo la partitura, eliminando tutto il primo atto e i balletti, con un risultato che lui stesso definisce soddisfacente. “Don Carlos adesso si riduce a quattro atti e sarà molto più agile. Credo che sarà migliore anche dal punto di vista artistico. Più concisione, più vigore”. Questa nuova versione in italiano andrà in scena, con buoni risultati, il 10 gennaio 1884 nel Teatro La Scala, ma non chiude definitivamente la questione: in effetti, Verdi realizzerà un’altra versione nel 1886, per Modena, in cui reinserisce il primo atto, ma non i balli del terzo atto.
 

Verdi

Giuseppe Verdi
in una fotografia scattata durante una visita all’opera in costruzione della Casa di Riposo per musicisti (1898 circa)
Milano, Archivio Storico Ricordi

ballo_maschera
 
Un ballo in maschera
Incisione di A. Focosi per il frontespizio della partitura per canto e pianoforte
Milano, Ricordi (1865)
Parma - Istituto Nazionale di studi verdiani
 
 
In Russia
 
Fotografia di Verdi in Russia (1862)
(C. Gatti, Verdi nelle immagini, Milano, Garzanti, 1941)
 
 
Caricatura
M. Delfico
Caricatura di Giuseppe Verdi assediato dalle richieste di contratti per tutti i teatri del mondo
Litografia
Busseto - Casa Barezzi, Amici di Verdi
 
Don Carlos
 
Locandina per il debutto di “Don Carlos” a Parigi
Théâtre de l’Opéra (Académie Impérial de Musique)
11 marzo 1867
Parma - Istituto Nazionale di studi verdiani
 
Parigi
 
Parigi nuova. Il grand boulevard che porta all’Opéra
(presa da: “L’Esposizione di Parigi del 1878 illustrata
”, Milano, Sonzogno, 1879)
Parma - Biblioteca Palatina
 
S. Pietroburgo
 

Il Grande Teatro Imperiale di San Pietroburgo nel 1816
Litografia colorada
(“L’art du ballet en Russie”, 1738-1940.
Parigi, Les Éditions du Mécène, 1991)