
| Nella vecchia casa dei nonni, dove io sono nato, si conservano ancora sotto campane di vetro i pettirossi e i martin pescatore imbalsamati: là io sono cresciuto, là ho letto le vite dei grandi briganti, là ho imparato i proverbi, là ho saputo che Garibaldi aveva fatta l’Italia, là ho bevuto il primo bicchier di vino, là, in cucina, fra i vasi di ceramica bianca, i finti piatti cinesi, i bicchieri nani di vetro verde, fra un odore di salvia e di prezzemolo, ho imparato a essere italiano. La mia famiglia è stata la mia scuola, e quel che so, quel che non so, i miei vizi, i miei difetti, le mie poche virtù li ho tutti ereditati. E più gli anni passano, più mi accorgo di non riuscire a mutare la strada segnata da quelli di casa mia, i quali, vivi o morti, sono sempre lì a custodire lo stile famigliare. Ed io passo sempre dall’uno all’altro, in un alterno variare di esperienze casalinghe. Sono un uomo inquieto uscito da una famiglia quietissima. La quiete mi annoia, l’inquietudine mi irrita. Cerco una via di mezzo, ma la cerco dove sono sicuro di non trovarla. Fin da ragazzo ho voluto un gran bene ai lunari, al libro dei sogni, alle carte da gioco, alle etichette delle bottiglie, ai ricami ottocenteschi della nonna. 
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