La trama allegorica dell’Amorosa visione è debitrice ai modelli del Roman de la Rose, delle opere della scuola di Chartres e agli antecedenti volgari dell’Intelligenza e del Tesoretto, con i quali condivide la condizione iniziale della narrazione, rappresentata dal sogno-visione del protagonista, l’immagine del castello e quella del giardino. Questa tradizione letteraria è vivificata da Boccaccio grazie all’innesto di intertesti iconografici, al quale mostra di rivelarsi particolarmente sensibile. Negli affreschi allegorici dei trionfi boccacciani è dato scorgere un’eco della pittura giottesca, tanto della basilica inferiore d’Assisi quanto del periodo napoletano; e non può dirsi assente neppure la suggestione del Trionfo della Morte del Camposanto pisano o l’affresco del Buongoverno del Palazzo di Siena. Mescidati attraverso un continuo confronto con temi e personaggi della Commedia, questi elementi conferiscono all’Amorosa visione un fascino particolare, presto recepito dai Trionfi di Petrarca.
Sul significato recondito dell’opera ci si è a lungo interrogati. Se posizioni estreme sono arrivate a sottolineare una volontà recondita di riscrittura burlesca del poema di Dante[1], non si può non riconoscere che i valori terreni celebrati, soprattutto con l’esaltazione dell’amore per Fiammetta, orientano la narrazione verso una parodia mondana dell’escatologia dantesca. Una lettura inclusiva della Caccia di Diana e della Comedia delle ninfe fiorentine potrebbe giustificare l’ipotesi di riconoscere nel trittico che queste formerebbero assieme all’Amorosa visione l’inverarsi di un cammino iniziatico e palingenetico, ispirato alle dottrina neoplatonica, oppure la costruzione di un’allegoria filosofica di stampo averroista[2]. Anche il nome di Ockham è stato ricordato tra i modelli filosofici possibili; e Boccaccio mostra in effetti di tenerlo in grande stima già nell’epistola latina giovanile Mavortis Milex[3].
[1]F. Petrucci Nardelli, L’Amorosa visione rivisitata, “Quaderni medievali”, 24 (1987), pp. 57-75.
[2]P. Orvieto, Boccaccio mediatore di generi o dell’allegoria d’amore, “Interpres”, 2 (1979), pp. 7-104; G. Gagliardi, Giovanni Boccaccio. Poeta Filosofo Averroista, Soveria Mannelli 1999.
[3]K. Flasch, Poesia dopo la peste. Saggio su Boccaccio, Roma-Bari 1995. Per una valutazione di queste letture filosofiche cfr. L. Battaglia Ricci, Boccaccio, Roma 2000, p. 106 e sgg.