I soggiorni napoletani
«Tutti mi danno speranza che Nostro Signore mi sarà liberale della sua grazia» (T. Tasso, Le lettere, a cura di C. Guasti, 5 voll., Firenze, Le Monnier, vol. IV, 291). Le speranze tassiane, formulate nelle ultime settimane del 1587, si riponevano in Sisto V, ma non furono premiate da un sostegno concreto. Per questo, entro una oscillazione tra diverse ipotesi che diventò costitutiva negli ultimi anni, il Tasso decise di spostarsi a Napoli nel corso del 1588, nel tentativo di recuperare l’eredità della madre, venendo a capo di una causa legale che si trascinava da molti anni. Appena arrivato in città, sostenuto dalla protezione di Matteo di Capua e di Giovan Battista Manso, il Tasso calamitò l’attenzione e l’ammirazione di una generazione letteraria, della quale facevano parte G. B. Attendolo, C. Pellegrini, T. Costo, A. Pignatelli, il Manso stesso. La condizione tassiana è testimoniata da questa lettera del primo luglio del 1588: «Il Signor Tasso è a Napoli, ben veduto, pregiato, ed accarezzato da tutti, ma e’ non vuole appoggiarsi a Signore alcuno; recita da dugento stanze da frammettere ne’ canti della sua Gerusalemme» (A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, 3 voll., Torino-Roma, Loescher, 1895, vol. II, 314). A partire dalla riforma del poema, e dal laboratorio delle rime e dei dialoghi che era allora attivo, il modello tassiano si impresse profondamente nella cultura napoletana, segnando gli esordi letterari del giovanissimo Marino, in contatto con il poeta della Liberata per la stampa di uno dei dialoghi. Tornato a Roma nel novembre del 1588, il Tasso sarebbe tornato altre due volte a Napoli, nel 1592, ospitato di Matteo di Capua, e ancora nel 1594, quando prese dimora nel monastero di San Severino da monaci cassinesi (a questo soggiorno risale l’avvio di un poema Della vita di San Benedetto, interrotto dopo sette ottave) e seguì da presso la stampa dei Discorsi del poema eroico.

Sonetto autografo dedicato alla città di Napoli, Napoli, Biblioteca Nazionale

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