titolo Ludovico Ariosto

Le rime sacre

Accanto alle rime d’amore e alla profusione di encomi, la lirica tassiana si ritaglia, soprattutto a partire dal 1586, anno della liberazione ma anche avvio di una stagione di letture teologiche, uno spazio per il ripiegamento intimo, per gli accenti religiosi più alti e congeniali agli ultimi anni del poeta. Si tratta di versi che prendono sovente la misura e i modi dell’invocazione, della richiesta vibrante di una luce divina nella quale sciogliere perplessità e dubbi esposti già negli anni più difficili e ormai riassorbiti e trascesi. In questo quadro si intendono i versi indirizzati Alla santissima Croce della splendida canzone 1634 (ma sullo stesso tema si veda anche Rime, 1643 e 1652), la meditazione sulla fragilità della dimensione terrena dei componimenti inviati ad Angelo Grillo o al Panigarola; ancora, i sonetti e le canzoni dedicate ad alcuni momenti centrali della storia cristiana, con particolare accento sul Natale, momento di incarnazione del divino nell’umano (Rime, 1663, 1666-67), e la parafrasi dello Stabat Mater che si legge in Rime, 1704.

Nel progetto di edizione focalizzato dal Tasso nel corso degli anni ’80, alle rime sacre venne riservata la terza e ultima parte delle poesie, e la corrispondente selezione è stata individuata, dagli studi di Luigi Poma (La Parte terza delle rime tassiane, in «Studi tassiani», XXVII, 1979, 5-45), nel manoscritto Vat. lat. 10980. I testi non andarono a stampa vivo il Tasso e la loro ricomposizione nella sezione finale del canzoniere si deve prima al lavoro filologico di Solerti, quindi all’edizione di Maier di tutte le rime tassiane.


La fede battesimale dell’Ariosto, da M. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto ricostruita su nuovi documenti, vol. I, Genève, L. Olschki, 1930-1931, p. 39

Bronzino, Noli me tangere, Parigi, Museo del Louvre

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