Pronunciata all’interno dell’Accademia ferrarese verso la fine degli anni ’60, la lezione sul sonetto di monsignor Della Casa è una delle prove teoriche più impegnative del Tasso fuori dall’ambito dell’epica, un’attenta disamina che dal testo Questa vita mortal passa a riflessioni di ordine più generale sia sullo statuto della lirica nella compagine dei generi e nella gerarchia degli stili, sia sulle tendenze della poesia contemporanea a fronte del modello petrarchesco. L’argomento alto del sonetto (la precarietà della condizione umana, il rivolgersi alla potenza divina) da un lato spingeva Tasso a riconsiderare le partizioni metriche fissate da Dante nel De vulgari eloquentia, d’altra parte gli faceva prendere le distanze dalla poesia troppo prossima alla filosofia, di una densità concettuale eccessiva che trascendeva in oscurità (i casi richiamati erano quelli di Cavalcanti e di certe parti della Commedia): entro l’opzione conseguente per linea-Petrarca, Della Casa offriva un modello di stile alto, nutrito di grandezza di concetti e di metafore e così lontano dall’abuso di ossimori e corrispondenze puntuali (i «contraposti» nel linguaggio tassiano) che caratterizzavano la poesia contemporanea, prossima ad esiti ormai pienamente manieristici. Dell’importanza di questo modello lirico vi è altra testimonianza, più avanzata: è il Cavaletta overo de la poesia toscana, dialogo del 1585 nel quale ancora il sonetto Questa vita mortal era confrontato a suo vantaggio con un testo del Coppetta e guidava poi una nuova e aggiornata riflessione sulle regole, soprattutto metriche, vigenti nella poesia lirica.