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Della Casa

fotografiaGià in vita, e poi in grazia delle edizioni postume delle opere curate da Pier Vettori, monsignor Giovanni Della Casa (1503-1556) prese a rappresentare nella seconda metà del Cinquecento un modello letterario raffinato e individuato, in qualche misura alternativo alla linea maestra del petrarchismo canonizzato e rilanciato dal Bembo. Cruciali in questo senso non tanto le prove di umanista che il Della Casa aveva dato annotando i classici, né le pagine di acuta trattatistica morale, dal Galateo al De officiis inter tenuiores et potentiores amicos, quanto il breve e densissimo libro di rime (edito in Rime et Prose, Venezia, 1558, ma diffuso già prima dalla consistente tradizione manoscritta), capace di innovare per via interna, sul piano di uno stile vibrante e spezzato, la lingua poetica allora dominante. Di questa originalità fu presto consapevole il Tasso che dedicò ad un sonetto di Della Casa (Questa vita mortal) una lezione accademica di grande impegno e acutezza e che più generalmente focalizzò l’esempio dellacasiano come punto di riferimento: esemplare sia la menzione che del poeta ricorre in chiave difensiva entro l’Apologia in difesa della Liberata, e soprattutto la sua individuazione come alternativa ai «moderni dicitori», espressione con la quale Tasso indicava un’ultima generazione di poeti impegnata nella ripetizione vuota e nell’esasperazione manieristica degli stilemi del petrarchismo.



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