Malinconia
Spesso, nelle lettere e in alcune inserti autobiografici dei suoi dialoghi, Tasso descrisse la fuga di pensieri, l’inseguirsi di una rete di immagini che caratterizzava lo stato malinconico. Così legge una pagina celebre del Messaggiero: «la maninconia, la qual più tosto a l’idra ch’a la chimera potrebbe assomigliarsi, perch’a pena il maninconico ha tronco un pensiero che due ne sono subito nati in quella vece, da’ quali con mortiferi morsi è trafitto e lacerato. Comunque sia, coloro che non sono maninconici per infermità ma per natura, sono d’ingegno singolare, e io son per l’una e l’altra cagione: laonde in parte vo consolando me stesso» (T. Tasso, Dialoghi, a cura di B. Basile, Milano, Mursia, 1991, 49-50). Non si tratta semplicemente della ricorrenza di un tema caro ma di un nodo concettuale di rilievo nel corpo stesso della biografia tassiana, visto che ad accessi di furor malinconico vennero attribuiti i comportamenti difficili del poeta negli anni 1577-79, e come tale furono trattati, con le cure approssimative dell’epoca, in quei mesi e poi ancora negli anni successivi. Al riguardo possono ricordarsi i sintomi della malinconia che vengono descritti accuratamente nelle lettere da Sant’Anna (tra i principali, e tra i più lamentati dal poeta, la perdita della memoria, che in gioventù era prodigiosa), ma anche la precisa serie di letture che Tasso accumulò sul tema, ripercorrendo, accanto all’Aristotele dei Problemata, la tradizione neoplatonica e ficiniana (leggendo anche testi francesi di Symphorien Champier di primo Cinquecento) che vedeva appunto nella malinconia un segno di eccellenza, l’altra faccia, oscura e sofferta, di una elezione: al riguardo si veda il classico R.Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno e la malinconia, Torino, Einaudi, 1983, prima ed. 1964; e in chiave tassiana, B. Basile, Poëta melancholicus. Tradizione classica e follia nell’ultimo Tasso, Pisa, Pacini, 1984.

Guercino, Et in Arcadia ego, Roma, Galleria nazionale d’arte antica

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