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Aristotele e Platone
Il Tasso si inserisce pienamente, in termini di propria formazione e nel concreto delle opere, nel complesso movimento di composizione e ibridazione tra pensiero platonico e pensiero aristotelico che caratterizza larga parte del Cinquecento. Alla sollecita lettura, già prima degli studi universitari, della Poetica e Retorica, punto di riferimento per i dibattiti sull’epica, aggiunse nel corso degli anni uno studio delle opere naturali di Aristotele, della Metafisica e dell’Organon ma soprattutto delle opere etiche, utilizzando tanto esegeti medievali quanto commentatori contemporanei e poi largamente riutilizzando queste letture nella compagine dei Dialoghi. In modo complementare il Tasso assunse come modello i dialoghi platonici, studiati nella traduzione ficiniana: ne riprese le cadenze della discussione (e il Forestiero Napolitano con cui Tasso si presenta nei dialoghi è chiara allusione al platonico Forestiero Ateniese), ma anche la sostanza concettuale, in particolare per testi chiave quali il Simposio, le Leggi, la Repubblica. In alcuni dialoghi, come il Malpiglio secondo o anche il Porzio, dedicato al tema della virtù, l’accostamento dei due patrimoni e il tentativo di una loro giunzione diventa molto evidente, senza che il Tasso riesca mai ad attingere risultati di originale elaborazione di pensiero, a superare cioè il livello di una elegante esposizione. Rimane, non trascurabile, il dato di una conoscenza accumulata programmaticamente, e portata anche sui testi meno vulgati, con l’intenzione di ritagliarsi addosso l’immagine di «poeta dotto» capace di spaziare dalle pagine di trattatistica letteraria ai dialoghi sulle virtù a pagine sui fenomeni naturali, sempre accostando le dottrine della filosofia classica (cui va aggiunta una profonda conoscenza del neoplatonismo antico) con la dottrina cristiana.
 
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