La figura di Enrichetta, della prima moglie, rimane legata nei lettori del Manzoni, solo o soprattutto all’espressione di vuoto angoscioso, di perdita insanabile “incisa a fuoco” nei drammatici versi dell’incompiuto Natale del 1833, dove il dubbio manzoniano sulla “Provvidenza” raggiunge un vertice di violenza inaudita, di protesta quasi blasfema (Mentre a stornar la folgore / Trepido il prego ascende, / Sorda la folgor scende / Dove Tu vuoi ferir), e dove si sente non il cristiano che china la testa davanti al disegno provvidenziale, ma un credente schiacciato dal peso dell’incomprensibile volontà di Dio, alla quale dolorosamente e inutilmente si ribella. E’ la morte dunque, sublimata poeticamente nell’ultimo “inno sacro”, a segnare paradossalmente il momento più visibile e noto di una biografia altrimenti nascosta e silenziosa, priva apparentemente di interesse. Tuttavia almeno degli indizi o dei sintomi della personalità di Enrichetta e della vita quotidiana in casa Manzoni ci vengono offerti dalle lettere della donna, scritte in un francese non sempre corretto e in una forma che rivela una cultura semplice, imparagonabile con quella dell’autorevole marito. Sono lettere buttate giù (come lei diceva) “a pezzi e bocconi”, fra le tante incombenze domestiche che, insieme ai mali fisici, scandivano la sua monotona esistenza. Nelle lettere Enrichetta non parla mai delle opere o degli interessi letterari di Alessandro, distinguendosi in ciò nettamente dalla futura seconda moglie, Teresa Stampa. Riesce invece a confessare la propria condizione “depressa” nelle missive ai suoi padri spirituali, il Degola e il Tosi, nelle quali emerge la tristezza e la rassegnazione per una vita coniugale così diversa dai primi entusiasmi di sposa ancora adolescente. Il ruolo svolto nella famiglia, oltre a quello gravoso di “patire” ben dodici gravidanze, fu un ruolo secondario, sovrastato dalla dominante figura della suocera, Giulia Beccaria. Accenti decisi e commossi hanno le lettere scritte alla figlia Vittoria, allontanata da casa e messa (non senza perplessità da parte della madre) in un collegio di Lodi.