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percorso biografico   Home Page > Percorso biografico > 1341-48 > La “Peste Nera”

La “Peste Nera”

fotografia Boccaccio è a Firenze nel 1348, anno in cui imperversa il flagello della “Peste Nera”. Con questo termine (o “Grande Morte” o “Morte Nera”) ci si riferisce normalmente all’epidemia che colpì l’Europa tra il 1347 e il 1352, uccidendo almeno un terzo della sua popolazione (25-30 milioni di morti su 75-80 milioni di persone). Giovanni perde tra gli amici Matteo Frescobaldi, Giovanni Villani e Franceschino degli Albizzi. Lutti dolorosi investono anche la stretta cerchia famigliare, con la scomparsa del padre e della matrigna, in seguito alla quale Boccaccio eredita l’intero patrimonio parentale e ne assume la gestione assieme alla tutela del fratello minore.

Evento storico di tragica rilevanza e punto di snodo nella biografia boccacciana, per l’adozione forzata delle piene responsabilità famigliari, la peste del 1348 ritorna nelle pagine iniziali del Decameron: I, Introduzione[1]. L’“orrido cominciamento” diventa il motore capace di innescare l’azione del racconto, che incornicia le cento novelle del libro. La finzione vuole che dieci giovani, sette donne e tre uomini, incontratisi nella chiesa di santa Maria Novella durante l’imperversare del morbo, decidano di allontanarsi da Firenze e di attendere in campagna l’estinguersi dell’epidemia, dilettandosi con giochi, danze e racconti. Il quadro di morte affidato alla cornice del Decameron non rifugge dalla descrizione degli effetti nefasti del terribile flagello sul piano sociale e morale. Il comune denominatore alle efferatezze presentate da Boccaccio, con il rigore del cronista e la partecipazione del testimone oculare, è indicato nell’infrazione delle leggi naturali e sociali. Firenze, afflitta dal morbo, conosce un imbestiamento degli esseri umani, che per timore del contagio disdegnano di soccorrere anche i parenti più prossimi, figli inclusi. Alla rottura dei vincoli famigliari si associa il sovvertimento dell’ordine morale e religioso, con la dissacrazione del culto dei morti e l’instaurarsi di regimi di vita dissoluta.

[1]Giovanni Boccaccio, Decameron, a c. di V. Branca, Torino 1999, vol. I, pp. 13-48.

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