Il Paradiso è diviso in nove cieli, contenuti tutti dall’immateriale Empireo, cielo puramente spirituale. I primi sette prendono il nome dai pianeti del sistema tolemaico, mentre gli ultimi due sono costituiti dal cielo delle stelle fisse e dal primo mobile. La sede reale dei beati è l’empireo, ma essi si mostrano eccezionalmente a Dante nei diversi cieli perché sia comprensibile alla sua percezione umana l’ineffabile esperienza del paradiso. Nel cielo della luna sono collocati gli spiriti che mancarono ai voti, in quanto vittime della violenza altrui; in quello di Mercurio gli spiriti attivi nell’impegno politico; in quello di Venere gli spiriti amanti; in quello del Sole gli spiriti sapienti; in quello di Marte i combattenti per la fede, tra cui spicca il suo trisavolo Cacciaguida; in quello di Giove i giusti; in quello di Saturno gli spiriti contemplativi. Nell’VIII cielo Dante assiste al trionfo di Cristo e di Maria e viene esaminato da san Pietro, san Giacomo e san Giovanni sulle virtù teologali, mentre nel IX gli si offre la visione delle gerarchie angeliche. In questi cieli i beati gli si presentano fasciati di luce e disposti in modo da formare varie figurazioni simboliche (due corone, una croce, la testa dell’aquila imperiale, una scala di luce). Nell’empireo i beati appaiono invece con le sembianze che avranno nel giorno del giudizio finale e, disposti come nei gradini di un anfiteatro, formano una candida rosa. Qui san Bernardo, che sostituisce Beatrice come guida dell’agens, prega la Vergine perché Dante acceda alla visione di Dio. La grazia è concessa e il poeta coglie l’unità di Dio nella molteplicità dell’universo e comprende i misteri della Trinità e dell’Incarnazione, annullandosi (ed è questo l’unico momento di abbandono mistico di tutto il poema) nella universale circolarità dell’“Amor che move il sole e l’altre stelle”.