Con Rime petrose, fortunata denominazione escogitata a metà ’800 da Vittorio Imbriani, si identificano tradizionalmente quattro componimenti databili quasi certamente tra il 1296 e il 1298: una canzone, Io son venuto al punto de la rota; una sestina, Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra; una cosiddetta canzone sestina, Amor, tu vedi ben che questa donna; e un’altra canzone Così nel mio parlar voglio esser aspro (secondo l’ordinamento fissato da Michele Barbi). Le quattro liriche, tutte dedicate all’esasperato, ossessivo amore passionale per l’insensibile e indifferente donna Petra, sono appunto accomunate dal ricorrere del senhal e della parola-rima petra, nonché (con l’esclusione di Così nel mio parlar) dalla rappresentazione di un paesaggio e di una natura invernali, efficaci analogie dell’algida Petra. Benché non siano mancate varie, più o meno argomentate proposte di identificazione della protagonista femminile del ciclo, il problema, come chiarì Contini, è di fatto marginale “perché la donna Pietra è semplicemente il legame che unisce le liriche più tecnicistiche di Dante”[1]. In evidente emulazione del modello provenzale di Arnaut Daniel, la cifra stilistica delle petrose è infatti costituita dal ricorso a soluzioni metriche (la sestina e la canzone-sestina) e linguistiche marcatamente sperimentali, con l’adozione di un lessico fortemente concreto e realistico, spesso esibito in posizione di rima, e con forti tensioni tra metro e sintassi. Uno strenuo tirocinio stilistico con sensibili ricadute sulla Commedia, e al cui fascino non si sono sottratte generazioni di lettori, a partire da Francesco Petrarca.
Recentemente sono stati avanzati, fondandosi sui dati della tradizione manoscritta delle Rime (la sequenza dei quattro testi in un’unica serie è presente solo in un paio di manoscritti), dubbi sull’effettiva consistenza del gruppo, cui, secondo Domenico De Robertis, andrebbe almeno sottratta Così nel mio parlar, per “l’assenza della condizione invernale” e “per il carattere agonistico dell’intera rappresentazione”[2].
[1] G. Contini, in D. Alighieri, Rime, a cura di G. C., Torino, Einaudi, 1946, p. 149.
[2] D. De Robertis, in D. Alighieri, Rime, a cura di D. D.R., Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2005, pp. 4-5.