Animato da una forte tensione ideale, da un desiderio di assoluto che si riflette in ogni suo gesto e pensiero, Jacopo è debitore nei confronti del modello alfieriano, dell’eroe plutarchesco che aspira a una purezza estrema e che intende percorrere fino in fondo tutte le esperienze della vita, siano esse l’amore o l’impegno politico. Per l’aspirazione a questa virtù individuale assoluta, tesa a definire in termini di sacrificio volontario e di atteggiamento salvifico la tragica esperienza del protagonista, Maria Antonietta Terzoli (Il libro di Jacopo: scrittura sacra nell’Ortis, Roma 1988) ne ha proposta un’interpretazione in chiave cristologica, rilevando nell’eroe dei riferimenti a Cristo, più espliciti nell’edizione zurighese, come se nell’esilio Foscolo avesse inteso accentuare l’intento apologetico del romanzo.
Ma forte è anche la connotazione romantica di Jacopo, in quanto eroe che oppone una potente individualità al mondo, che rimane estraneo a ogni compromesso e che predilige la fantasia, la natura tempestosa e selvaggia, la libertà di pensare e di agire. Il riconoscimento di un primato delle passioni è all’origine di un dissidio costante verso tutte le forme del vivere sociale: l’insofferenza nei confronti dei compromessi politici e delle convenzioni borghesi (rappresentate in prima istanza da Odoardo) conduce Jacopo a un isolamento assoluto, come uomo e come poeta, come emerge nel corso dell’incontro a Milano con Parini.
La scelta del suicidio sembra così l’unica coerente con questa visione della vita che rifiuta ogni compromesso e che alimenta la diversità del soggetto di fronte alla realtà: la progressiva alienazione di Jacopo dalla storia del suo tempo, dalle prospettive di progresso e di rinascita, da ogni impegno concreto nella storia, in quanto uomo di lettere e patriota, accompagnano la tragica delusione sentimentale, che, sottraendo a Jacopo ogni possibile illusione, lo consegna definitivamente alla morte.