Il discorso sui Longobardi
Il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia fu pubblicato la prima volta nel 1822, insieme all’Adelchi, e poi in una seconda redazione nel 1847, fra le Opere varie. L’indagine storiografica sulla dominazione dei Longobardi in Italia venne composta fra il settembre e il novembre del 1821, proprio a metà della lunga fase di composizione dell’Adelchi (novembre 1820-ottonbre 1822), fra la prima e la seconda stesura della tragedia. Nella sua ricostruzione, sempre scrupolosamente confortata dai documenti storici disponibili, Manzoni afferma con decisione che fra Latini e Longobardi non ci fu alcuna forma di unificazione sul piano delle istituzioni civili e militari, e che anzi il vinto popolo latino era costretto dalla durezza del regime barbarico a una condizione di schiavitù. Era una tesi che si contrapponeva a una lunga tradizione storiografica che annoverava i nomi di Machiavelli, Muratori, Giannone, Gibbon, e secondo la quale “Italiani” e Longobardi si sarebbero fusi in un solo popolo e in una comune e concorde unità politica. A questa interpretazione della storia italiana dei secoli VI-VIII del Medio Evo Manzoni era giunto per l’influenza su di lui esercitata dalla storiografia liberale francese, già frequentata nel cenacolo degli Idéologues, alla Maisonnette, e soprattutto (grazie alla mediazione del Fauriel) dagli scritti di Augustin Thierry, che nel 1820, quando Manzoni si trovava di nuovo a Parigi, pubblicava sul “Courrier Français” le sue Lettres sur l’histoire de France e, studiando i rapporti fra le popolazioni galliche e i Franchi invasori, insisteva sulla netta spaccatura dell’Europa medievale fra vincitori barbari e vinti indigeni. La riflessione manzoniana sui Longobardi segna il discrimine fra una prima concezione, tutta patriottica, dell’Adelchi, nella quale il protagonista sognava una fusione tra Franchi e Latini per un riscatto nazionale che (come si dimostra nelle pagine del discorso) era storicamente inattendibile, e la nuova redazione della tragedia, ben più fedele alle condizioni sociali e storiche dei Latini (“un volgo disperso che nome non ha”).

Il principe Adelchi, dal Codex Legum Langobardorum, sec. X-XI. Fonte: A. Manzoni, Edizione nazionale ed europea delle opere, vol. 5, Milano, CNSM, 2005.

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