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Adelchi: trama

fotografia Il soggetto storico dell’Adelchi e il crollo del dominio longobardo in Italia, fra il 772 e il 774, ad opera dei Franchi. Come Il Conte di Carmagnola, anche l’ Adelchi è diviso in cinque atti, ma presenta due Cori, e inoltre, a parte la maggior complessità di temi e personaggi, offre un intreccio più ricco e dinamico. Ermengarda, figlia di Desiderio re dei Longobardi, è stata ripudiata da Carlo (il futuro Carlo Magno) e torna a Pavia dal padre e dal fratello Adelchi, il quale l’accoglie con caldo affetto e tenta invano di dissuadere il padre dalla vendetta, e anzi lo esorta a restituire le terre sottratte al papa Adriano. Al messo di Carlo che gli impone la restituzione, Desiderio risponde con un rifiuto e la guerra è dichiarata. Ma alcuni duchi longobardi sono disposti a tradire e cospirano in casa di Svarto, un oscuro soldato in cerca di potere (atto I). Carlo è bloccato alle Chiuse di Val di Susa, una posizione imprendibile difesa da Adelchi. Sopraggiunge Martino, diacono di Ravenna inviato a Carlo dal vescovo Leone, che nel suo lungo viaggio attraverso le Alpi ha scoperto un passaggio ignorato, che permetterà di aggirare la postazione longobarda (atto II). Inutili sono i tentativi di Adelchi di opporsi all’inatteso assalto dei Franchi. Nella sua tenda Carlo premia, ma in cuor suo disprezza, il traditore Svarto, mentre loda l’eroismo di Anfrido, scudiero di Adelchi, ferito a morte. I longobardi predispongono la difesa delle maggiori città del regno (atto III, con il primo Coro). In un convento di Brescia, dove si era ritirata, Ermengarda, molto malata, avendo appreso dalla sorella Ansberga che l’amato Carlo si è risposato, è assalita dal delirio e muore. I duchi traditori fanno entrare le truppe dei Franchi in Pavia, capitale del regno longobardo (atto IV, con il secondo Coro). Adelchi resiste ancora a Verona, ma Desiderio è preso prigioniero. Giunge la notizia che Verona è caduta. Adelchi è portato in scena ferito e morente, di fronte a Carlo e a Desiderio. Muore cristianamente, dopo aver pronunciato nobili e sconsolate parole (atto V).

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