titolo Ludovico Ariosto

Dialoghi (1579-1586)

Smarriti i dialoghi che Tasso annunciava di aver compiuto già negli anni ’60, la prima prova di prosa filosofica risale alla fine del decennio successivo, con il Forno overo de la nobilità, dialogo composto nel corso della crisi che avrebbe progressivamente condotto il Tasso alla reclusione di Sant’Anna. Se quella prova attesta un filone di scrittura vivo già prima della prigionia (e sul quale doveva certo pesare il precedente dello Speroni), negli anni della reclusione ferrarese i dialoghi divennero una delle linee principali della scrittura tassiana, investiti da un lato dall’intenzione di dimostrare (e al più alto livello) la lucidità del poeta recluso, dall’altra dall’intenzione di trasfondere le molte letture che il poeta andava cumulando entro una serie di operette, di volta in volta centrate su questioni nevralgiche per il mondo della corte, dalla nobiltà appunto alla precedenza, dalla dignità alle maschere. In queste prove l’obiettivo non era una riflessione filosofica in senso proprio, quanto l’esibizione e la messa a confronto delle posizioni di filosofi antichi e moderni, con l’intento di pervenire ad una esposizione elegante di dottrina e non alla formulazione di verità (al riguardo significative le pagine del Trattato sull’arte del dialogo in cui il Tasso rifletteva sullo statuto del genere). Il registro venne perseguito con insistenza, e persino con punte di attivismo, negli anni più difficili, ad esempio nei primi mesi del 1585, nei quali il Tasso compose il Malpiglio overo de la corte, il Cavaletta overo de la poesia toscana, il Molza overo de l’amore. Capolavori di questa prima stagione il Messaggiero, operetta di matrice platonica, più volte rivista e corretta, nella quale discussioni di demonologia si legavano a precetti sull’ufficio dell’ambasciatore, e il Padre di famiglia, ove la ripresa della tradizione degli Oeconomica avveniva entro un quadro di conversazione stilizzata ed elegante.


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