Dopo un ultimo passaggio a Napoli tra il giugno e il novembre 1594, passaggio legato alla stampa dei Discorsi del poema eroico, il Tasso fece ritorno a Roma e la sua salute peggiorò nelle ultime settimane dell’anno: le testimonianze dell’epistolario si infittiscono in quest’ultimo frangente dei segni di una sofferenza acuta e dell’idea di una morte avvertita come vicina. Pur impegnato dalla stesura del Giudicio sulla nuova Gerusalemme, e in qualche misura attirato dalla promessa, da parte degli Aldobrandini, di un’incoronazione poetica che sarebbe avvenuta in Campidoglio, Tasso tracciava un bilancio irreparabilmente in perdita in una lettera celebre all’amico Antonio Costantini:
Non è più tempo ch’io parli della mia ostinata fortuna, per non dire de l’ingratitudine del mondo, la quale ha pur voluto condurmi a la sepoltura mendico, quando io pensava che quella gloria che ... avrà questo secolo da i miei scritti non fusse per lasciarmi in alcun modo senza guiderdone (T. Tasso, Le lettere, a cura di C. Guasti, 5 voll., Firenze, Le Monnier, 1852-55, vol. V, 203).
Scriveva inoltre una lettera al suo antico protettore Alfonso d’Este, simbolica ricomposizione dei dolorosi contrasti di due decenni prima; si faceva infine condurre nel monastero di Sant’Onofrio, sul colle del Gianicolo, «quasi per cominciare scriveva da questo luogo eminente, e con la conversazione di questi divoti padri, la mia conversazione in cielo» (T. Tasso, Le lettere, a cura di C. Guasti, 5 voll., Firenze, Le Monnier, 1852-55, vol. V, 203). Qui morì il 25 aprile: lo stesso giorno venne sepolto nella chiesa del monastero, sotto l’altare maggiore, con esequie solenni.