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![]() E’ la prima commedia in versi dell’Ariosto. Dopo un primo abbozzo risalente al 1509, presumibilmente ancora in prosa, Ludovico porta a termine, in versi, questa nuova commedia inviandola a Leone X il 16 gennaio 1520 per una messa in scena romana (ideata dopo il successo della recita dei Suppositi per il carnevale del 1519) che però non hai mai avuto luogo. Di questa commedia esiste una redazione ‘per Roma’ e una redazione ‘per Ferrara’: la prima, risalente appunto al 1520, viene pubblicata a stampa, postuma, a Venezia nel 1535. La seconda redazione, realizzata per la corte ferrarese intorno al 1528, è pubblicata, anch’essa postuma, presso Gabriele Giolito de’Ferrari nel 1551. Questa seconda versione viene presentata nel corso della stessa festa e con le stesse scenografie della Lena e della Moscheta del Ruzante. La commedia si ricollega alla Calandria del Bibbiena e mette in luce il mondo della ‘giunteria’ illustrando la figura di Lachelino, finto mago e negromante. Costui cerca di derubare i vari personaggi che si avvicendano sulla scena ma la complicazione ridondante dei suoi imbrogli e l’intervento del servo Temolo smascherano tutte le finzioni e le simulazioni con una soluzione finale di pacificazione generale che esclude solo il finto negromante. Rispetto alla prima versione, la redazione ‘per Ferrara’ presenta un nuovo prologo e un irrobustimento della figura del negromante, che muta il nome da Lachelino in Iachelino, con l’aggiunta finale di tre scene che sottopongono ad ulteriori beffe e punizioni il finto negromante. Al centro della commedia, tanto nella versione romana che ferrarese, vi è il tema, ricorrente anche nel Furioso, della disponibilità umana a subire il fascino ingannevole di chi prospetta verità illusorie. Cesare Ripa, Iconologia del Cavaliere Cesare Ripa Perugino Notabilmente accresciuta d’immagini, di annotazoni e di fatti dall’Abate Cesare Orlandi, vol. IV, Perugia, Stamperia di Piergiorgio Costantini, 1764-1767, p. 211 |
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