Il pezzo più celebrato e famoso del corpus letterario di Raffaello è una epistola a Baldassarre Castiglione, in cui gli argomenti toccati, in rapida successione, sono tre: i disegni realizzati da Raffaello per dar seguito a una idea del suo interlocutore (probabilmente ai fini di illustrare le gesta dei papi di nome Leone nella Stanza cosiddetta dell’Incendio di Borgo, o forse per la volta della Stanza di Eliodoro); la nomina di Raffaello a architetto di S. Pietro, avvenuta nel 1514, e il modello da questi approntato nei mesi successivi alla morte di Bramante; l’esecuzione del Trionfo di Galatea (1512 ca.) nella residenza o villa romana di Agostino Chigi.
La lettera viene pubblicata per la prima volta nel 1554, a cura di Ludovico Dolce. Ma, a causa della sua qualità stilistica e intellettuale, essa esorbita quel che l’artista stesso avrebbe potuto produrre e usualmente, penna alla mano, produceva. Il dubbio circa l’effettiva paternità è affiorato per la prima volta nel corso dell’Ottocento, quando, però, ci si è limitati a suggerire che l’epistola, abbozzata da Raffaello, dovette essere poi revisionata e completata da uno dei suoi amici letterati.
La lettera non dice nulla che il supposto destinatario, al momento dell’ipotetica composizione (primavera-estate del 1514), già non sapesse da par suo (dal momento che Castiglione risiede ininterrottamente a Roma dal gennaio al settembre di quell’anno). A rigore, la pagina sembrerebbe essere un falso, una retrospettiva contraffazione del Dolce o di qualcuno della sua cerchia, come ha espressamente suggerito (C. Thoenes, Galatea: tentativi di avvicinamento, in Raffaello a Roma. Il convegno del 1983, a cura di C. Frommel e M. Winner, Roma 1986, 59-72).
Converrà però riferire anche l’ipotesi di J. Shearman (Castiglione’s Portrait of Raphael, “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, 38, 1994, 69-96): l’autore della lettera non è Raffaello, ma Castiglione. L’epistola sarebbe il ritratto (psicologico e ideale) di Raffaello eseguito da Castiglione, poco dopo la scomparsa dell’amico, e in sintomatica concomitanza con la stesura del carme De morte Raphaelis pictoris.