La morte dell’amico Raffaello
A partire dai primissimi anni del suo soggiorno presso la corte di Urbino, Castiglione stringe con Raffaello un rapporto di amicizia e collaborazione, che si intensifica a Roma, durante i pontificati di Giulio II e Leone X. All’incirca coetanei, essendo Raffaello nato nel 1483 e Baldassarre nel 1478, essi condividono i medesimi valori estetici, e, l’uno sul terreno dell’arte, l’altro nell’ambito della vita politica e letteraria, perseguono i medesimi ideali. Di ciò restano varie testimonianze: il ritratto di Castiglione eseguito da Raffaello intorno al 1515, e attualmente conservato al Louvre; la lettera, a quattro mani, indirizzata a Leone X sul restauro dei monumenti antichi; la lettera a nome di Raffaello indirizzata allo stesso Castiglione. Nel Cortegiano, Raffaello viene anzi assunto come il simbolo della perfezione assoluta conseguita in campo artistico dalla modernità.
Raffaello, tuttavia, muore prematuramente, il 6 aprile 1520, e Castiglione, che si trova a Mantova, rimane profondamente colpito e turbato dalla scomparsa dell’amico. Compone allora, per commemorarlo, una elegia De morte Raphaelis pictoris, poi inclusa nella raccolta dei suoi carmi latini. Il testo, se pure in maniera sintetica, tocca alcuni temi tipici della riflessione umanistica e letteraria di Baldassarre: innanzi tutto il primato di Roma, quale capitale della cultura classica e moderna., e quindi la strabiliante rinascita della medesima città, che, dopo secoli di involuzione e decadenza, nel presente sembra in grado di ritornare agli antichi splendori. A Raffaello, in tale prospettiva, viene riconosciuto, metaforicamente, il merito di avere guarito, con le sue imprese nei campi della pittura, dell’architettura e dell’archeologia, una città malata: anzi, di avere risuscitato un cadavere. Ma proprio le sue virtù hanno acceso e stimolato l’invidia della sorte maligna, che, nel caso di Raffaello come già in quello di Guidubaldo, preferibilmente si accanisce contro gli uomini di maggiore ingegno. La sua precoce scomparsa pare dunque a Castiglione l’emblema di una legge universale, che tanto più espone l’uomo alla sfortuna quanto più alte sono le sue qualità. Alla fine del testo si accampa lo spettro della morte, quale destino e traguardo al cui cospetto ogni esistenza terrena deve essere valutata.

