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Percorso testuale   Home Page > Percorso testuale > La produzione poetica > I carmi latini

I carmi latini

fotografia I testi poetici in latino scritti da Castiglione, e a lui sicuramente attribuiti, sono circa una ventina, appartenenti ai generi dell’elegia, dell’egloga e dell’epigramma. Sono prodotti di elevata qualità e notevole raffinatezza, frutto dello splendido tirocinio umanistico compiuto da Baldassarre al tempo del suo soggiorno milanese.

L’egloga Alcon, abbozzata nel 1506 e rifinita nel 1507, commemora la morte dell’amico Domizio Falcone e del fratello Girolamo, riprendendo temi di Virgilio, Ovidio e Tibullo, sicché il compianto per gli affetti perduti viene inserito con delicatezza in una rasserenante cornice bucolica. Si tratta di un testo di grande impegno letterario e ideologico, in cui, ambiziosamente, viene affermato il valore dell’amicizia e della solidarietà, come vincolo assoluto che nasce dalla comunanza degli ingegni.

Nell’elegia Ad puellam in litore ambulantem, composta nel 1513, Castiglione si ricollega all’undicesima elegia del secondo libro degli Amores di Ovidio, in cui si dice di voler trattenere Corinna dall’intraprendere un viaggio per mare. Ma qui la materia è una semplice passeggiata sulla riva, che offre lo spunto all’autore per intrecciare raffinate allusioni a vari passi delle Metamorfosi.

Anche gli altri carmi di Castiglione presuppongono spesso un destinatario reale, di cui il testo vuole ribadire la relazione d’intima corrispondenza con l’autore: l’elegia De Elisabella Gonzaga canente, per Elisabetta Gonzaga, è un omaggio schiettamente cortigiano; la Prosopopeia Ludovici Pici Mirandulani contiene, dietro la rievocazione dell’amico defunto, la celebrazioni di un principe valoroso e virtuoso; l’elegia De morte Raphaelis pictoris, scritta all’indomani della morte di Raffaello, ricorda l’amico artista con accenti solenni e commossi che ne definiscono l’assoluta grandezza.

Ma il carme latino più famoso di Castiglione è l’Elegia qua fingit Hippolyten suam ad se ipsum scribentem, elaborata a Roma nel 1519. Qui l’autore, immaginando di dare voce alla donna innamorata (secondo il modello ovidiano già sperimentato nella letteratura del Quattrocento), raffigura la moglie e il figlioletto Camillo nella casa mantovana, mentre interrogano, per consolarsi della sua assenza, la immagine di lui dipinta da Raffaello.

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