Nella primavera del 1501 Cesare Borgia mette a punto un perfido piano che gli consente di impadronirsi dello stato di Urbino e di scacciare Guidubaldo di Montefeltro, fino a quel momento suo alleato, costringendolo a una rocambolesca fuga. Non è che una delle imprese per cui il personaggio viene celebrato da Machiavelli nel capitolo VII del Principe: per la sua capacità di usare l’inganno, la menzogna e la finzione come strumenti idonei nella lotta politica, per la sua scaltrezza nello sfruttare la benevolenza e l’ingenuità degli alleati, al fine di imporsi col tradimento. Ma all’ammirazione di Machiavelli corrisponde la repulsione di Castiglione. Nella lettera a Enrico VII re d’Inghilterra, la vicenda è rievocata per mettere in rilievo, e condannare, la disumana ingratitudine del Valentino nei confronti di chi lo aveva sostenuto, censurando il crimine perpetrato ai danni dell’incolpevole Guidubaldo.
L’eroe dell’uno (Machiavelli) è l’anti-eroe dell’altro (Castiglione), e viceversa: la natura malvagia e perversa di Cesare Borgia rende possibili imprese strabilianti, che Machiavelli addita come esempio positivo ai lettori del Principe, mentre Castiglione respinge quelle stesse imprese come sciagurate e inique. La giustizia, la lealtà e la riconoscenza di Guidubaldo paiono a Castiglione il sigillo del “buon principe”, mentre per Machiavelli non sono che un segno di stoltezza e dabbenaggine.
Non a caso gli auspici di Machiavelli coincidono con le paure di Castiglione: quel che l’uno teme, l’altro desidera. Il Principe, infatti, è dedicato a Lorenzo de’ Medici, con l’implicita esortazione a ripercorrere la strada del Valentino, sfruttando con astuzia l’appoggio del papa, Leone X, per soddisfare la propria sete di potere. Ma la pubblicazione a stampa dell’epistola al sovrano inglese, nel 1513, obbedisce al disegno opposto: denunciare l’infamia compiuta dagli usurpatori, Alessandro VI e Cesare Borgia, affinché a Leone X e al nipote Lorenzo ripugnasse di replicare la medesima offesa. La manovra ha inizialmente successo. Tuttavia, di lì a qualche anno, nel giugno del 1516, Leone X e Lorenzo de’ Medici, sulle orme dei predecessori, realizzano ciò che Machiavelli aveva implicitamente consigliato: e l’atto di imperio si risolve, per Castiglione, in una grave sconfitta, personale e professionale.