Ovidio
Ovidio, i cui testi Dante ha certamente letto filtrati dai ricchi corredi esegetici tipici della tradizione medievale, è già inserito, con una citazione sintomaticamente desunta dai Remedia Amoris, nel canone degli auctores che, affidato al XXV capitolo della Vita nuova, comprende anche Omero, Virgilio, Lucano e Orazio. E ancora insieme con Virgilio, Stazio e Lucano, viene riconosciuto, in qualità però di autore delle Metamorfosi, come modello poetico anche per i rimatori in volgare in De vulgari, II 6 7. Benché tutt’altro che assente nelle cosiddette opere minori di Dante, Ovidio è però fonte privilegiata per ogni tipo di informazione mitologica nella Commedia, che appare costellata da frequentissimi rinvii ed echi alle Metamorfosi, considerate lo ha efficacemente ricordato Curtius non solo “un repertorio mitologico affascinante come un romanzo”, ma anche, attraverso l’interpretazione allegorica, “un tesoro di precetti morali”[1]. Ma l’imitatio non esaurisce la complessità del rapporto tra Dante e Ovidio. Ogni ripresa di un tema ovidiano porta con sé contestualmente un intento di correzione in senso cristiano: la citazione diviene l’occasione per segnalare la permanenza, ma insieme la discontinuità con la tradizione classica e pagana. Non solo Dante mette in dubbio la veridicità dei miti classici, ma evidenzia la differenza tra una metamorfosi pagana, che non modifica nulla, che è meramente ripetitiva, e una metamorfosi cristiana che è invece redentiva, palingenetica. E il superamento di Ovidio è esplicitamente tematizzato in Inf., XXV 97-102, dove Dante descrive la trasformazione di un uomo in serpente e di un serpente in uomo: un doppia metamorfosi sincronica nella quale il poeta latino non si era mai cimentato. Del resto le metamorfosi ovidiane erano solo finzioni poetiche, laddove quelle del poeta cristiano sono reali, sono la manifestazione dell’esercizio della giustizia divina, di cui Dante, al contrario di Ovidio, è fedele testimone.
[1] R. Curtius, Letteratura europea e medioevo latino (1948), a cura di R. Antonelli, Firenze, Le Monnier, 1992, p. 26.

Disegno raffigurante la “bella scola” del Limbo: Dante, Virgilio, Omero, Ovidio, Orazio e Lucano. Dante historiato da Federico Zuccaio. Commentario, a cura di Andrea Mazzucchi, Roma, Salerno Editrice, 2005, tav. 22.

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