Lucano
Lucano, autore della Pharsalia, è dopo Virgilio, il grande modello epico di Dante, ricordato già nella Vita nuova, riconosciuto come modello poetico in De vulgari, II 6 7, citato come “grande poeta” in Conv., IV 28 13 e, infine, ampiamente compulsato nella Commedia, dove compare come personaggio collocato nel Limbo, insieme con Omero, Orazio, Ovidio e Virgilio. La cospicua serie di riscontri rintracciabili attraverso le 3 cantiche documenta una conoscenza integrale della Pharsalia, letta però da Dante attraverso il filtro di commenti ed accessus di ampia diffusione, il ricorso ai quali spesso consente di lumeggiare meglio i rapporti tra Dante e il poeta latino. Gli spunti lucanei nella Commedia sono spesso funzionali all’accentuazione crudamente drammatica ed emergono, infatti, con maggiore frequenza nei luoghi segnati da presenze inquietanti, come la maga Eritone (Phar., VI 507 sgg. e Inf., IX 23-24), l’indovino Arunte (Phar., I 584 sgg. e Inf., XX 46-51), il gigante Anteo (Phar., IV 589 sgg. e Inf., XXXI 100 sgg.). Modellati su alcuni celebri passi della Pharsalia sono anche i canti XXIV-XXV dell’Inferno, con la riproposizione dei mostruosi serpenti libici già citati da Lucano e con le orribili metamorfosi dei ladri, esplicitamente ricondotte alle patologiche alterazioni fisiche di Sabello e Nasidio morsi dai serpenti, secondo il racconto del IX libro della Pharsalia. Qui però l’imitazione si fa emulazione: Dante riconoscerà infatti di aver superato Lucano e Ovidio (Inf., 94-102) e non solo sul piano poetico, ma anche per la natura della metamorfosi, non più straordinario evento naturale, come in Lucano, o mitologica finzione, come in Ovidio, ma miracolo di Dio, autentica transformatio supernaturalis.
Derivata da Lucano anche la figura di Catone, custode del Purgatorio benché suicida, sulla scorta forse non solo della Pharsalia, ma anche della relativa tradizione glossografica medievale, in cui Catone è considerato ipostasi delle virtù cardinali ed equiparato alla divinità.

