Fin dalle prime righe del Cortegiano, nella lettera di dedica a Miguel da Silva che introduce l’opera, Castiglione indica con estrema chiarezza a quali modelli egli si sia ispirato. Il suo testo persegue la codificazione dell’immagine del perfetto gentiluomo e da tale punto di vista, strutturalmente, attiva e applica le medesime strategie argomentative già impiegate in tre capolavori assoluti della civiltà classica, greca e latina: la Repubblica di Platone, la Ciropedia di Senofonte, il De oratore di Cicerone. Da questi capisaldi della cultura antica Castiglione ricava la legittimazione a scrivere un testo che, pur perseguendo un traguardo utopico (la perfezione), possiede tuttavia una specifica utilità didascalica (poiché la perfezione, se non può essere raggiunta, può almeno essere insegnata).
Si tratta di una questione di rilievo strategico, non solo perché qui l’autore, con alta coscienza di sé, assimila in maniera esplicita la sua opera a tre testi classici, tradizionalmente reputati inarrivabili. Ma anche perché, mediante tale assimilazione, si sancisce l’impianto epistemologico del dialogo: le fittizie conversazioni, aventi per tema la definizione del perfetto uomo di corte, non sono oziose, dal momento che l’ideale, che viene in tal modo proposto, ha lo scopo di suggerire e attivare nei lettori comportamenti in grado di perseguirlo.
Dai tre modelli classici si desume il progetto di un’opera-modello: un’opera, cioè, che indica ai suoi lettori il modello a cui essi, nella pratica quotidiana della vita di relazione, devono tendere, con uno sforzo di approssimazione che, per statuto, non avrà mai fine. L’opera ha una matrice storica, realistica (connessa alle esperienze del suo autore alla corte di Urbino), su cui si innesta la componente utopica e profetica: il bersaglio indicato ai lettori (il perfetto cortigiano) è dedotto, per sublimazione e distillazione, dall’accaduto.