Il principe sapiente
Nella lettera a Enrico VII e poi, più diffusamente, nel quarto libro del Cortegiano Castiglione sviluppa la propria riflessione politica senza fermarsi a misurarne la possibilità di traduzione nei fatti: attraverso una serie di ipotesi, egli propone un ideale utopico, un progetto elevato, che è di per sé generatore di energia operativa, in quanto stimolo all’imitazione. Il suo discorso, benché puntellato di esempi storici, si sviluppa sul piano teorico, e trascura ogni illazione che possa indurre nel lettore disillusione e scetticismo. Così dalla tradizione classica, e in particolare da Platone e Plutarco, nonché biblica (Salomone), egli recupera e rielabora il modello del principe sapiente, che governa con l’uso della ragione e non della forza.
Viene vagheggiato il prototipo di un principe in pace con se stesso, in grado di dominare ogni istinto e ogni passione: a lui si addicono lo studio, il pensiero, la speculazione, l’indagine di ogni ramo del sapere, poiché solo da ciò potrà discendere un’attività di governo ispirata a saggezza ed equilibrio. Le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) vengono espressamente indicate come i suoi punti di riferimento, a livello operativo oltre che ideologico. Riecheggiando quanto già asserito da Aristotele nella Politica, Castiglione propone la figura del principe pacifico, che ricorre alla guerra solo come strumento di difesa dalla oppressione e dalla tirannia altrui, e che esercita il suo dominio sui sudditi, secondo l’esempio paradigmatico di Guidubaldo di Montefeltro, in modo dolce e paterno, non imperioso.
Tanto nelle pagine latine dell’epistola a Enrico VII, quanto in quelle volgari del Cortegiano, a suggello della propria meditazione Castiglione ribadisce che l’ideale non è impossibile, e la strada della perfezione, benché difficile, può essere percorsa fino in fondo, come i protagonisti della corte di Urbino dimostrano chiaramente.

