Dopo la stampa del Torrismondo, il Tasso abbandonò Mantova spostandosi prima a Modena, poi a Bologna e Loreto e infine giungendo a Roma ai primi novembre. Prese dimora a casa di Scipione Gonzaga: questi, in accordo con Antonio Costantini, e su indicazione di Vincenzo Gonzaga, da poco divenuto duca di Mantova e che conservava l’impegno contratto con Alfonso II d’Este di sorvegliare il poeta, tentò di convincere il Tasso a tornare alla corte dei Gonzaga con vari espedienti, invitandolo ad un viaggio verso Firenze presso i Medici oppure a recarsi a Genova, rispondendo all’invito di una pubblica lettura di Aristotele che arrivava da Angelo Grillo. Né per l’una né per l’altra eventualità il Tasso accettò di muoversi da Roma; si pensò persino di costringerlo al viaggio a Mantova, ma alla fine dell’anno giunse da Ferrara una sorta di liberatoria: Alfonso II dichiarava di non curarsi più del poeta, e sollevava il Gonzaga da ogni impegno. Il poeta rimase a Roma, libero ormai da ogni pur velato controllo, senza riuscire a stabilirvisi serenamente, e senza ottenere da Sisto V i riconoscimenti che sperava.