Capitolo satirico in terza rima composto a Napoli dopo il 1835, e pubblicato solo nel 1906 (Leopardi stesso, secondo Ranieri, sarebbe stato d’accordo nell’escluderlo dall’edizione dei Canti del 1845).
I “nuovi credenti” oggetto del disprezzo leopardiano (qui ben più violento che nel corrispettivo atto d’accusa rivolto nella Palinodia ai liberali fiorentini) sono gli esponenti dello spiritualismo napoletano, cattolici per convenienza e scioccamente ottimisti. Molto probabilmente Leopardi si riferisce a persone riconoscibili (e proposte di nomi sono state avanzate dalla critica), riunite intorno alla rivista “Il Progresso”, tra cui Saverio Baldacchini. Ma ciò che più importa è la valenza generale degli strali leopardiani, che dapprima colpiscono l’intera città di Napoli dove, non va dimenticato, erano state censurate le Operette morali:
... e in breve accesa
d’un concorde voler tutta in mio danno
s’arma Napoli a gara alla difesa
de’ maccheroni suoi; ch’ai maccheroni
anteposto il morir, troppo le pesa.
E comprender non sa, quando son buoni,
come per virtù lor non sien felici
borghi, terre, provincie e nazioni. (vv. 11-8);
quindi si rivolgono direttamente contro i tre esponenti della cultura clericale partenopea.
Va sottolineato come nella poesia Leopardi non si arresti alla polemica personale (tipica del genere letterario), ma ribadisca con forza le proprie idee sulla vita; e come, dietro uno schermo ironico, sottolinei in maniera coraggiosamente struggente la propria “diversità”:
Voi prodi e forti, a cui la vita è cara,
a cui grava il morir; noi femminette,
cui la morte è in desio, la vita amara.
Voi saggi, voi felici: anime elette
a goder delle cose: in voi natura
le intenzioni sue vide perfette.
Degli uomini e del ciel delizia e cura
sarete sempre, infin che stabilita
ignoranza e sciocchezza in cor vi dura:
e durerà, mi penso, almeno in vita. (vv. 100-9)