titolo Giacomo LeopardiGiacomo Leopardi
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Napoli

fotografia Leopardi giunge a Napoli, con Ranieri, il 2 ottobre 1833. Nei primi tempi, sembra apprezzare il soggiorno; ma dopo poco più di un anno, il suo giudizio è già mutato drasticamente: “non posso più sopportare questo paese semibarbaro e semiaffricano, nel quale io vivo in un perfettissimo isolamento da tutti” (lettera al padre, 27 novembre ’34).

La parola chiave della condizione di Leopardi a Napoli è proprio “isolamento”: Leopardi entrò immediatamente in contrasto con l’ambiente culturale della città, raccolto intorno alla rivista diretta da Giuseppe Ricciardi (con Saverio Baldacchini e Raffaele Liberatore) “Il Progresso delle Scienze, delle Lettere e delle Arti”, fondata nel marzo ’32 con ispirazione cattolico-liberale. Oltre agli attacchi dei collaboratori della rivista, Leopardi dovette subire la censura borbonica: nel ’35 l’edizione delle sue opere, prevista in sei volumi presso il libraio Saverio Starita, fu sospesa dopo il secondo volume (uscirono solo i Canti e il primo tomo delle Operette: “La mia filosofia è dispiaciuta ai preti, i quali e qui ed in tutto il mondo, sotto un nome o sotto un altro, possono ancora e potranno eternamente tutto”, scrisse al Sinner il 22 dicembre ’36).

All’ostilità della città Leopardi reagì con la poesia; anzi sembra quasi che l’animosità dell’ambiente abbia funzionato da catalizzatore delle sue energie: egli compose alcuni fra i suoi testi più impegnati, testimonianze altissime del suo materialismo e del suo rifiuto sia di ogni illusoria consolazione ultraterrena sia di ogni progetto di futura palingenesi sociale: oltre alle sepolcrali e ad Aspasia, i Pensieri, i Paralipomeni, la Palinodia e la feroce satira antinapoletana I nuovi credenti.

Dal maggio ’35, con sempre maggiori problemi di salute ed economici, si divise (sempre con Ranieri e con la sorella Paolina) tra l’abitazione di Vico Pero a Napoli e la Villa Ferrigni sulle falde del Vesuvio, vicino Torre del Greco (dove scrisse La ginestra e Il tramonto della luna). E in Vico Pero morì, durante un’epidemia di colera, il 14 giugno ’37.

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