Operette morali
“Libro di sogni poetici, d’invenzioni e di capricci malinconici” (sono parole di Tristano, alter-ego di Leopardi), le Operette morali, dopo una lunga “preistoria”, vennero quasi tutte composte a Recanati nel 1824 (come testimonia l’autografo), ed ebbero diverse edizioni.
Alcune caratteristiche fondamentali dell’opera sono indicate in una lettera del 16 giugno 1826 all’editore Stella: Leopardi scrive di “quel tuono ironico che regna in esse”, e del fatto che Timandro ed Eleandro sia “una specie di prefazione, ed un’apologia dell’opera contro i filosofi moderni” nella quale è “dichiarato” “lo spirito di tutta l’opera”.
“Tuono ironico”, dunque, e anche comico, ma che certo non esclude la profondità del pensiero (in un’altra lettera allo Stella Leopardi definisce le Operette “cosa filosofica, benché scritta con leggerezza apparente”); di un pensiero, anzi, “polemico” nei confronti dei “filosofi moderni”, contro i quali è rivolto “lo spirito di tutta l’opera”: “Il mio cervello è fuori di moda” dirà infatti Timandro, e Tristano si ergerà contro il “secolo decimonono”, la “profonda filosofia de’ giornali”, “la statistica”, “le scienze economiche, morali e politiche” (contro cui Leopardi tornerà a scagliarsi nella Palinodia), rivendicando invece la “filosofia dolorosa, ma vera” espressa nelle Operette.
Nelle diverse Operette (la maggior parte dialoghi, scritti in una prosa ora “peregrina” ora “familiare”, “ragionativa” ma screziata di ironia; e lontanissima dagli usi del contemporaneo “romanzo storico”), infatti, contro il progressismo e l’ottimismo spiritualistico contemporanei (Proposta di premi, Folletto e Gnomo), Leopardi racchiude la propria riflessione sulla condizione esistenziale dell’uomo, sui rapporti tra l’uomo e la Natura indifferente, sull’infelicità, la gloria, la morte. E la sua “filosofia”, ormai compiutamente materialistica, denuncia l’impossibilità della felicità e la necessità del male (Malambruno e Farfarello, Tasso, Natura e Islandese).

