Fin troppo facile, purtroppo, sarebbe ricordare la quantità e qualità dei “dolori” sofferti da Leopardi: da quelli fisici legati alla malattia, a quelli spirituali, legati alla riflessione filosofica o magari all’amore non corrisposto.
Piace invece notare come egli sia stato in grado di sublimare i propri dolori nelle sue opere, trasformandoli, per i lettori, in occasioni di conoscenza e gioia (nello Zibaldone, 259-62, è scritto che le opere di genio ci consolano anche quando mostrano la nullità delle cose). Come si legge in un passo del romanzo Paolo il Caldo (1955), di Vitaliano Brancati: “Leopardi, lo so aggiunse mentre le sue dita, percorrendo uno scaffale, capitavano sul dorso delle Operette morali, era pallido come me, soffriva più di me. Ma ci sono sofferenze che scavano nella persona come i buchi di un flauto, e la voce dello spirito ne esce melodiosa, ...”.
Nello Zibaldone la riflessione sul dolore è ampia:
“Anche il dolore che nasce dalla noia e dal sentimento della vanità delle cose è più tollerabile assai che la stessa noia” [72] diversità del dolore antico e del moderno, anche nella loro espressione artistica [76-9, 105, 2434-6, 2752-5] “Nei momenti di gioia viva o di dolor vivo l’uomo non è suscettibile nè di compassione, nè d’interesse per gli altri” [97-9] dolore nei fanciulli [528-32, 1262] anche il ricordo del dolore è piacevole, per la sua vivezza [1987-8] il tempo cancella ogni dolore [2419-20] “i dolori dell’animo non sono mai paragonabili ai dolori del corpo” [2479] la morte non provoca dolore, perché il dolore è “cosa viva” [2182-4, 2566-7] dolore per la morte di persone care [3430-2, 4277-9] nessuno vorrebbe rivivere la propria vita: ciò dimostra che essa è composta più di dolore che di piacere [4283-4] “La facoltà di sentire è ugualm. e indifferentem. disposta a sentire piaceri e dolori. Or le cose che producono le sensaz. del dolore, sono incomparabilm. più che quelle del piacere” [4505-6].