Tutta la vita di Leopardi si pone sotto il segno della malinconia, come si nota leggendo, tra le altre sue opere, i suoi scritti autobiografici. Bisogna tuttavia precisare che egli considera questo sentimento in maniera duplice: se da una parte condanna la malinconia “moderna”, causata dall’eccesso di civiltà (quella malinconia da cui è affetto il gentiluomo inglese nell’Operetta La scommessa di Prometeo, e che lo porta ad uccidere i figli e a suicidarsi), dall’altra parte, come si legge in numerose pagine dello Zibaldone, sottolinea il valore conoscitivo della malinconia “quieta e dolce”, sino a identificarla quale “amica della verità”:
La malinconia è alla base della poesia romantica [15-23, 725-35] “lo sviluppo del sentimento e della melanconia, è venuto soprattutto dal progresso della filosofia, e della cognizione dell’uomo, e del mondo” [76-9] “I migliori momenti dell’amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia” [142] “chi conosce intimamente il cuore umano e il mondo, conosce la vanità delle illusioni, e inclina alla malinconia” [324-5] chi è malinconico non sopporta intorno a sé la frivolezza e la gioia insulsa [931] malinconia antica e moderna, nei popoli meridionali e settentrionali [931-2] “l’amica della verità, la luce per discoprirla, la meno soggetta ad errare è la malinconia e soprattutto la noia” [1690-1] “Tutto ciò che è finito” desta malinconia [2242-3, 2251-2] tutti i buoni poeti italiani degli ultimi due secoli sono stati malinconici [2363-4] sulla malinconia destata dalla musica, “bensì dolce, ma ben diversa dalla gioia” [3310-1].