Guidubaldo di Montefeltro, secondo duca di Urbino, muore nella notte tra l’11 e il 12 aprile 1508, all’età di trentasei anni, prostrato dai mali che hanno tormentato larga parte della sua breve ma intensa esistenza. Nei mesi seguenti Castiglione, per esorcizzare il dolore e a perpetua memoria del defunto, scrive un ampio panegirico in latino, che, sotto forma di epistola ufficiale, viene dedicato e inviato a Enrico VII re d’Inghilterra. L’opera, lontana dal presentarsi come un epicedio generico e occasionale, è piuttosto il frutto di una raffinata strategia, insieme letteraria e politica. Il racconto e la rievocazione commossa della parabola biografica dello sfortunato Guidubaldo, infatti, sono funzionali a estrarre dal suo caso un ritratto del principe ideale, secondo i valori dell’etica umanistica che, di lì a qualche anno, verrà ridiscussa da Machiavelli.
La lettera nasce come documento ufficiale e accreditato, forse per esplicito incarico della duchessa vedova (Elisabetta Gonzaga), nell’ora difficile e delicata della successione, quando il trapasso dei poteri dal signore deceduto al suo giovane erede, Francesco Maria Della Rovere, espone lo stato alla spregiudicatezza delle grandi potenze straniere, nonché al rischio di sollevazioni interne. Con il suo testo Baldassarre prende la parola a nome di tutta la corte, e ribadisce pubblicamente l’alleanza tra Urbino e Londra, che egli stesso, recando in Inghilterra, alla fine del 1506, ha contribuito a consolidare. Inoltre, al fine di neutralizzare ogni velleità di futura, illegittima conquista, l’epistola descrive e censura l’infame tradimento ordito ai danni di Guidubaldo da parte di Cesare Borgia, nel 1502, per espropriarlo dello stato. In questa maniera, la vicenda terrena del duca di Urbino è elevata a prototipo della figura del principe virtuoso e saggio, che resiste con magnanimità e lucido disincanto alle ingiurie della sorte.
Le ragioni della cronaca e quelle dell’encomio concorrono alla genesi dell’epistola e alla determinazione dei suoi molteplici contenuti: facendone, nello stesso tempo, una amara e luttuosa testimonianza, una dichiarazione di amore e fedeltà nei confronti della corte di Urbino, un messaggio politico a tutela della legittimità della successione. Il testo, che obbedisce alle medesime sollecitazioni che poi presiederanno alla genesi del Cortegiano, viene pubblicato a stampa, per la prima volta, nel 1513.