Nel Libro del Cortegiano Raffaello e Michelangelo sono citati insieme in alcune circostanze molto significative, da cui si ricava che essi rappresentano, agli occhi di Castiglione, il culmine della perfezione conseguita in campo artistico dalla modernità. Per merito delle loro imprese, pittoriche, architettoniche e scultoree, la Roma dei papi Giulio II e Leone X sembra rinascere dalla polvere e dalle rovine, e raggiungere una eccellenza pari, se non superiore, a quella della Roma classica. Sia nella lettera di dedica a Miguel da Silva, che introduce l’opera, sia nei capitoli conclusivi del primo libro, riservati alla discussione dei rapporti tra i diversi generi artistici, i rilievi di Castiglione non sono generici o banali: dimostrano, semmai, la posizione privilegiata che Baldassarre assume, tra i grandi eventi artistici dei suoi anni, di cui, a buon diritto, egli si propone come giudice e interprete.
Educato alla corte sforzesca dove domina la personalità di Leonardo, presso la reggia dei Gonzaga può osservare il talento prodigioso di Andrea Mantegna; quindi, alla corte di Urbino, è testimone del lascito dei grandi umanisti, da Alberti a Piero della Francesca. Giunge infine a Roma: e qui vede compirsi sotto i suoi occhi, durante il pontificato di Giulio II, la volta della Sistina per mano di Michelangelo, e le Stanze Vaticane, a opera di Raffaello. E di questi eventi artistici il Cortegiano vuole essere l’equivalente letterario: esso stesso riprova che ai moderni non è negato di raggiungere i traguardi estetici già conseguiti dall’antichità.
Con Raffaello, in particolare, Castiglione stringe una profonda amicizia di cui restano varie e preziose testimonianze: il ritratto di Castiglione eseguito da Raffaello intorno al 1515, e attualmente conservato al Louvre; la lettera, a quattro mani, indirizzata a Leone X sul restauro dei monumenti antichi; l’elegia De morte Raphaelis pictoris, composta da Castiglione nel 1520, dopo la scomparsa dell’amico; la lettera a nome di Raffaello indirizzata allo stesso Castiglione.