In questo sonetto scritto tra l’estate del 1802 e la primavera del 1803 e pubblicato nell’edizione milanese di Poesie del 1802, il poeta celebra la sua patria naturale, l'isola di Zacinto sul Mar Ionio. Il tema principale è quello di una sostanziale rinuncia a un’ipotesi di superamento della negatività dell’esistenza umana attraverso la memoria e il ricordo rappresentati da Zacinto, la patria dalla quale il poeta si sente irrimediabilmente diviso, che diventa l’emblema di un impossibile approdo esistenziale. La separazione del poeta dall'isola parte da un dato contingente (l'esistenza tumultuosa di Foscolo, sempre esule e ramingo), ma assume fin dall'inizio un valore simbolico: Zacinto diventa l'emblema di una pace irraggiungibile, di una promessa di serenità e di affetti negata al poeta privo di riferimenti e di certezze. Ma l'isola greca ha anche un'identità mitico-sacrale che supera il dato biografico: situata sul Mar Ionio, dalle cui onde è nata Venere, dea dell'amore, e celebrata da Omero nei suoi poemi, Zacinto assume, in questo contesto classicheggiante, un valore mitico che si riverbera sul suo figlio, su Foscolo stesso, che viene esplicitamente paragonato a Ulisse, anche lui esule, e in modo implicito accostato a Omero, dal momento che entrambi i poeti hanno cantato l'isola. L’unico riscatto possibile, infatti, per il poeta ramingo è rappresentato dalla poesia; il “canto” del v. 12, con il quale il poeta si ricongiunge idealmente a Zacinto, costituisce la sola occasione di salvare l’individuo dall’oblio cui lo condanna anche la mancanza di un degno sepolcro e l’impossibilità quindi di essere ricordato con affetto dai vivi; il motivo della poesia che supera l’oblio della storia e riscatta dalla distruzione del tempo e della materia è il tema che verrà poi altrimenti sviluppato, in relazione non solo alla storia dell’individuo ma anche delle nazioni, nei versi dei Sepolcri.