SENNUCCIO DEL BENE

Fiorentino di parte bianca come il padre di Petrarca, Sennuccio venne esiliato nel 1313 per aver partecipato all'assedio della città al seguito di Enrico VII e si diresse anch'egli ad Avignone. Qui costruì la sua fortuna, politica ed economica, all'ombra della curia papale, fino a ottenere il richiamo a Firenze verso il 1330. Nel frattempo si era legato di amicizia a Petrarca e poté agire come una sorta di intermediario culturale fra lui e Giovanni Boccaccio, essendo i due ancora personalmente ignoti l'uno all'altro. Morì nel 1349, compianto da Petrarca nel sonetto 287 del Canzoniere e in un passo del Trionfo di Amore.
Sennuccio è autore di quattordici rime (1) ed è il corrispondente al quale è stato indirizzato il maggior numero di poesie petrarchesche: quattro sonetti del Canzoniere (108, 112, 113, 164; ma per conto del cardinale Giovanni Colonna Sennuccio rispose con Oltra l'usato modo si rigira anche al sonetto 266) e tre rimasti esclusi (Sì come il padre del folle Fetonte, Sì mi fan risentire a l'aura sparsi, Quella ghirlanda che la bella fronte; Sennuccio rispose al primo con La bella Aurora nel mio orizonte); dal congedo di una redazione conservata nel codice degli abbozzi sappiamo che in origine era diretta a Sennuccio anche la canzone 268. È stato recentemente ipotizzato che l'intera impalcatura biografica del Canzoniere, e in particolare la persona di Laura, sia una mera costruzione letteraria alla quale Sennuccio avrebbe offerto la sua complice partecipazione (2) . All'amico fiorentino Petrarca scrisse inoltre una breve lettera in latino con la quale lo incaricava di procurargli un servitore (Familiares IV 14).

(1) Daniele Piccini, Un amico del Petrarca: Sennuccio del Bene e le sue rime, Roma-Padova, Antenore, 2004.
(2) Giuseppe Billanovich, L'altro stil nuovo. Da Dante teologo a Petrarca filologo, "Studi petrarcheschi", n. s., XI (1994), pp. 1-98.

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