TITO LIVIO

Alla monumentale opera dello storico padovano Tito Livio Ab Urbe condita libri è legata la massima impresa filologica del periodo avignonese di Petrarca (1326-36): con una complicata serie di vicende, ricostruita solo in anni recenti (1) , egli riunì in un solo manoscritto il testo delle tre deche superstiti e lo corresse con sue congetture e con il confronto fra più esemplari. Il restauro compiuto dal giovane ma già agguerritissimo Petrarca è memorabile sia per l'intelligenza tecnica esibita sia per il suo significato: esso mirava a recuperare non solo la lettera ma lo spirito degli Ab Urbe condita libri, fino ad allora circolanti con le singole deche separate (distinte anche da titoli diversi) e finalmente riportati alla loro integrità. Inoltre esso, interessando uno dei testi cardinali dell'imperialismo romano, fornì le fondamenta ideologiche alle opere classiciste messe in cantiere negli anni Trenta, Africa e De viris illustribus. Larga e immediata fu la fortuna dell'edizione petrarchesca, volgarizzata in italiano (forse con il concorso di Giovanni Boccaccio) e in francese (da Pierre Bersuire).
A Livio, trovandosi nel 1350 nella sua città natale Padova, Petrarca indirizzò una delle lettere agli scrittori antichi (Familiares XXIV 8), rammaricandosi per la perdita della maggior parte della sua opera.

(1) Giuseppe Billanovich, La tradizione del testo di Livio e le origini dell'Umanesimo, vol. I Tradizione e fortuna di Livio tra Medioevo e Umanesimo, Padova, Antenore, 1981.

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