AFRICA

L'Africa è un poema epico in esametri, in nove libri (ma con parti incompiute), sulle vicende conclusive della seconda guerra punica. Nei primi due libri, imitazione del Somnium Scipionis ciceroniano, a Scipione appaiono in sogno padre e zio (morti combattendo i Cartaginesi) che gli preannunciano le future glorie romane; in seguito Scipione cerca di ottenere l'appoggio del re dei Numidi Siface contro Annibale. Dopo una grossa lacuna, il libro V vede la sfortunata storia d'amore di Massinissa (alleato di Scipione) per Sofonisba (moglie dello sconfitto Siface): per volere di Scipione i due sono costretti a separarsi, e lo stesso Massinissa procura alla donna un veleno per non farla cadere in mano ai Romani. Annibale torna dall'Italia, è sconfitto a Zama e fugge; Cartagine si arrende a Scipione, che alla fine rientra a Roma e celebra il suo trionfo.
La materia del poema deriva da Tito Livio, della cui terza deca rappresenta una sorta di messa in versi; l'ispirazione epica è invece virgiliana, come rivela la parentesi del libro V che corrisponde a quella, di esito parimenti tragico, dell'amore fra Enea e Didone nel libro IV dell'Eneide. Sembra certo che Petrarca non conobbe i Punica di Silio Italico, storia versificata della seconda guerra punica.
Stando alla Posteritati, la stesura dell'Africa ebbe inizio a Valchiusa nel 1338 o 1339 e venne proseguita fino a un certo stadio: forse il libro IV, dove cade la citata lacuna. La notizia che il giovane autore stava facendo rivivere l'epica classica ebbe immediata risonanza nei circoli letterari e (insieme ai buoni uffici dei Colonna) nel 1341 procurò a Petrarca l'incoronazione poetica; al re Roberto d'Angiò, che lo aveva esaminato prima della cerimonia, Petrarca volle dedicare il poema. Sempre secondo la Posteritati l'elaborazione riprese poco dopo, prima a Selvapiana e poi a Parma; ma il ritorno in Provenza nel 1342 e la morte di Roberto d'Angiò poco dopo segnarono una stasi che doveva diventare definitiva. L'ultimo deciso tentativo di portare a termine l'Africa ebbe luogo nel soggiorno provenzale del 1351-53; ma nelle testimonianze di quegli anni Petrarca, ormai rivolto a un tipo diverso di letteratura, si mostra diviso tra il desiderio di completare l'opera iniziata e il senso della vanità dell'impresa: è eloquente il finale del Secretum, dove all'esortazione di Agostino ("Abbandona l'Africa, lasciala ai suoi possessori: non aggiungerai gloria né al tuo Scipione né a te" (1) ) Francesco non sa dare ancora una risposta definitiva.
Una storia a parte è quella della diffusione dell'Africa durante la vita dell'autore: sebbene Petrarca si rifiutasse sempre di divulgarla, opponendo un rifiuto a richieste insistenti e anche autorevoli (fra cui quelle di Giovanni Boccaccio, che comunque poté visionare il poema a casa dell'amico), in due occasioni permise trascrizioni parziali. Dapprima, intorno al 1339-40, Pierre Bersuire trasse copia di un brano del libro III che descriveva le divinità pagane e che poi utilizzò per il suo Reductorium morale; in seguito, nel 1343, Barbato da Sulmona lesse e trascrisse un passo del libro VI, il soliloquio di Magone (fratello di Annibale) nell'imminenza della morte, che da allora ebbe una circolazione incontrollata. Essendogli giunta notizia di alcune critiche di convenienza stilistica che erano state mosse al brano, nel 1363 Petrarca rispose con una lettera a Boccaccio (Seniles II 1). Nella sua integrità l'Africa fu dunque pubblicata postuma.

(1) "Dimitte Africam, eamque possessoribus suis linque; nec Scipioni tuo nec tibi gloriam cumulabis".

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